BARI - Una Pasqua differente, in nome della solidarietà, lontani da casa ma con la ferma volontà di vivere il sociale lasciando segni concreti. Sono stati tre ragazzi pugliesi a costituire la nuova «Unità di risposta di emergenza» che la Croce Rossa italiana ha inviato in Mozambico per rendere possibile la seconda fase dell’aiuto umanitario alle popolazioni. Il paese africano, infatti, il 14 e 15 marzo, è stato colpito dal più violento ciclone che abbia mai investito l’Africa sud orientale, provocando più di mille morti e devastando e allagando 3mila chilometri quadrati di territorio. Come se non bastasse, proprio in seguito alle inondazioni è esplosa una epidemia di colera.
È in questo contesto che sono stati attivati i volontari Lia Romano, 35 anni, ingegnere esperto di alluvioni, di Bari, Alessandra Biccari, infermiera trentenne e Luciano D’Anzeo, studente ventunenne, entrambi volontari del comitato di San Severo, nel Foggiano. In realtà, come in ogni grande storia, c’è anche il quarto uomo, Riccardo di Caro, toscano trapiantato in Piemonte, un esperto logista che però, assicura la squadra pugliese, «viene sottoposto dal primo giorno ad un “corso intensivo” di civiltà pugliese e tornerà a casa più pugliese di noi». Hanno passato le festività pasquali a Beira, lontani dai loro cari, assieme ad altri cento «operativi» della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa internazionale, delle Nazioni Unite, con medici venuti da tutto il mondo per assistere i quasi due milioni di persone colpite, decisi a fermare le epidemie.
Il team italiano ha un ruolo fondamentale perché gestisce tutta la logistica e i servizi del cosiddetto Campo base, punto di riferimento centrale di tutte le attività del vasto contingente della Croce Rossa. La squadra precedente, sempre italiana, andata via dopo un mese di lavoro, ha gettato le basi per la realizzazione delle strutture su cui si reggerà la nuova fase, partita con una campagna di vaccinazione di massa che, dopo più di cinquemila casi accertati, ha già bloccato l’epidemia di colera.
Cosa porteranno in Puglia questi ragazzi dopo una esperienza così impegnativa? «Noi abbiamo fatto una scelta, che i nostri amici e famigliari capiscono e sostengono – spiega Alessandra Biccari – che è quella di mettersi al servizio degli altri. Come volontari di Croce Rossa, non lo facciamo solo lontano da casa o quando ci sono degli eventi così disastrosi. In realtà lo facciamo tutti i giorni, nella nostra comunità e nelle nostre città. Non c’è bisogno di andare lontano per trovare persone che hanno bisogno di aiuto, di ogni tipo di aiuto. E, anzi, in realtà a un certo punto della vita può capitare a tutti. Molti dicono “meglio a loro che a me”, ma io non mi sento bene se penso che qualcuno soffre e non faccio nulla per alleviare le sue sofferenze. È anche per questo che ho scelto di fare l’infermiera».
«Non è questione di guardarsi allo specchio e sentirsi più buoni degli altri - assicura Luciano D’Anzeo - o anche semplicemente sentirsi a posto con se stessi. È qualcosa di più». «Una volta che sei entrato in Croce Rossa - aggiunge - appartieni a qualcosa che ha una grande storia e che ha cambiato il mondo. Penso che concepire l’idea che, finita la battaglia, tutti i feriti, di qualsiasi esercito, devono essere soccorsi e curati anziché finiti, ha aperto gli occhi sull’umanità delle persone. In troppi fanno retorica, ideologia e filosofia, per noi dire che siamo tutti fratelli non è uno slogan, ma una realtà che viviamo tutti i giorni, senza vanto e senza clamore».