FOGGIA - «Inutile dire che anche questo imprenditore convocato dalla Polizia non riconobbe nessuna delle persone mostrategli in foto, e affermò di non aver mai pagato la cifra di 3800 euro ogni tre mesi a esponenti malavitosi».
Pare quasi di vederli i giudici scuotere la testa nel sottolineare per l’ennesima volta le negazioni dei taglieggiati di fronte all’evidenza delle intercettazioni. Anche su questi costanti silenzi figli del terrore, oltre che su sporadiche denunce (ma soprattutto su intercettazioni e rivelazioni di pentiti), poggiano le motivazioni della sentenza del processo “Decima azione” emessa il 7 novembre 2022 dai tre giudici della terza sezione della corte d’appello di Bari: 1 assoluzione e 24 condanne a 217 anni, 10 mesi e 20 giorni. Il blitz contro la mafia del pizzo del 30 novembre 2018 portò a 30 arresti; il processo a 29 imputati si sdoppiò al termine dell’udienza preliminare: 4 foggiani rinviati a giudizio (un’assoluzione e 3 condanne a sessant'anni in primo grado a Foggia); altri 25 optarono per il rito abbreviato dal Gup di Bari e per loro c’è stato anche il verdetto di secondo grado.
In appello sono state inflitte pene da 20 mesi a vent'anni; alla sbarra sono finiti 24 foggiani e un garganico accusati a vario titolo di mafia quali affiliati a due clan della “Società” (Sinesi/Francavilla; e Moretti/Pellegrino/Lanza); 11 estorsioni e cinque tentate estorsioni; cinque imputazioni per il possesso di armi. Tra i condannati anche i boss Rocco Moretti (10 anni e 8 mesi); il pari grado Vito Bruno Lanza (8 anni); il loro rivale Roberto Sinesi (9 anni). In primo grado il Gup il 26 novembre 2020 comminò 25 condanne a 275 anni di carcere; in appello il Pg chiese la conferma di 24 condanne e un sconto solo per il sammarchese Patrizio Villani, killer del clan Sinesi, perchè diventato collaboratore di Giustizia.
«Questo processo - si legge nelle ottantanove pagine di motivazione - prende in esame uno specifico periodo di vita della Società foggiana, caratterizzato da una sanguinosa guerra di mafia tra Sinesi/Francavilla e Moretti/Pellegrino/Lanza». Il riferimento è alla 7° guerra tra clan della quarantennale storia della mafia cittadina: tra settembre 2015 e ottobre 2016 si registrarono 10 agguati con 3 morti e 11 feriti/scampati, tra cui un bambino di 4 anni. «Tra gli elementi che caratterizzano questo periodo c’è il controllo capillare delle attività economiche, mediante un’attività estorsiva a tappeto».
Nell’esaminare le singole imputazioni di estorsione i giudici si sono trovati quasi sempre a dover registrare il silenzio degli estorti. «Significative del contesto (mafioso) sono le reazioni delle vittime alle convocazioni davanti alle forze dell’ordine nelle quali hanno negato di aver pagato il pizzo. Una parte offesa si è addirittura lamentata con un imputato del fatto che i carabinieri fossero a conoscenza delle precise modalità dell’estorsione cui era sottoposta, tanto da chiedergli: "Come fanno a sapere che pago 4mila euro a Pasqua e 4mila a Natale"».
Un’altra vittima, titolare di una discoteca costretta a versare 500 euro a settimana per la protezione mafiosa finalizzata al regolare svolgimento delle serate danzanti, si lamentò perché non più tollerabile che amici dell’estorsore continuassero a litigare nel locale creando problemi. E trovò la comprensione dei mafiosi: «Giustamente se quello crea problemi, il titolare si vede costretto a denunciare. Ha detto: “se voi non mi risolvete questo problema, non vedete più una lira”». Il cliente ha sempre ragione…