Non è che si debba necessariamente puzzare di naftalina se si chiede ai protagonisti di questa campagna elettorale di sottoporsi, come un tempo, ad un confronto con una agguerrita tribuna stampa. Quelle che una volta erano le tribune elettorali, e che oggi sono diventate - a forza di par condicio, leggi, norme, lacci e lacciuoli - podi televisivi dai quali, cronometri alla mano, si ripetono le stesse minestre riscaldate a memoria.
Sarà che più si invecchia, più ne vedi e meno ne sopporti: ma quanto darei per assistere ad un fuoco di fila di domande in un contraddittorio alla pari. Giornalisti senza sconti per nessuno, dritti sulle ginocchia, con domande dritte e chiare, pertanto scomode, e candidati sui carboni ardenti delle risposte documentate. Invitandoli tutti i candidati, ma proprio tutti: pure quelli senza speranza di approdare in consiglio per un fatto di numeri ma forieri, chissà, del virus sano della politica. Una campagna elettorale ricca di contenuti e confronti con la realtà che si andrà a governare.
Tra i luoghi scelti per andare a stringere mani e ad abbracciare chiunque, perché non compaiono mai il centro prenotazioni o la sala d’attesa di un reparto di Policlinico?
Perché si scelgono nella cosiddetta narrazione studiata a tavolino dalle agenzie, i tiepidi, rilassanti bagni di folla plaudente, e non quelli meno da Spa elettorale, tra le storie dure, disperate, di chi perde la propria terra, il lavoro, la casa, la dignità, il futuro? E quante ce ne sono in Puglia, perbacco.
Eppoi: i cronoprogrammi. Che in politica sembrano una parolaccia impronunciabile in pubblico, ma che, in realtà, equivalgono alla credibilità di ogni candidato: le sacre tavole degli appuntamenti di governo. Quelle per cui, se non ce le hai in agenda, è meglio non presentarsi a chieder voti. Tipo: nei primi sei mesi faremo questo per iniziare a risolvere il problema antico dell’acqua. Nei sei successivi faremo quest’altro per non dover continuare, nei secoli dei secoli, a dichiarare stati di emergenza idrica. Tipo: leggi di maggiore tutela per l’agricoltura nei primi tre mesi di governo. Quell’agricoltura che in Puglia, si vede sottrarre terreni e futuro in nome di non si sa quale beneficio ambientale. Quell’agricoltura che ha reso indimenticabile l’ultima seduta di consiglio, dove la protesta più gentile rivolta dagli agricoltori all’assise era «ci vediamo in tribunale». E c’era pure chi dallo scranno, sorrideva.
Un cronoprogramma tipo, insomma, che se non mantieni ciò che prometti, la prossima volta il mio voto te lo scordi.
È vero: siamo in Italia, il Paese con la memoria più corta d’Europa, ma non siamo nemmeno completamente rimbambiti: provate a chiedere in giro quanti si ricordano, per dirne una, delle accise da eliminare. Tanti. Ma non quelli che le avevano promesse. Dimenticare, talvolta, è impossibile: specie davanti ad una scheda con la matita in mano.
Dice: le tribune elettorali, i confronti in tv sono archeologia. Ora ci sono altri mezzi, social su tutti. Come se la multimedialità (dalla tv ai social e agli altri media è un attimo, un click) fosse un integratore alimentare. Non la realtà complessiva che ci circonda. Dunque usateli tutti questi mezzi tenendo a mente che non è la quantità ma la qualità di ciò che si prospetta all’elettore a fare la differenza nella scelta.
Un confronto, non un comizio, può darsi che faccia scendere e non salire quel 56,43% di astensionismo delle scorse elezioni regionali. A questa tornata, i pugliesi chiamati al voto sono 838.983. Se si riuscisse a recuperare qualcuno di quelli che si asterranno, sarebbe già una vittoria. L’astensionismo suona come una sorta di irresistibile campana al morto per la democrazia di questo nostro sventurato Paese. È l’unico partito che vince a mani basse, sempre di più, sempre più spesso.
















