Nella regione Marche, cara alla Meloni perché è la prima a celebrare le elezioni, si vota per le Regionali il 28 e 29 di settembre. Nella Calabria improvvida, il 5 e il 6 di ottobre. Nella Toscana tradizionale, il 12 e 13 di ottobre. In Campania, Puglia e Veneto, governate dai «duri», nei partiti e al di fuori di essi, è ancora tutto da decidere.
Ad uscire certamente matto sarà il ministro dell’interno Matteo Piantedosi a gestire sei elezioni differenziate da svolgere nelle regioni ordinarie, oltre alla Valle d’Aosta, con date spalmate nell’arco di poco più di due/tre mesi. Un adempimento che peraltro comporterà disagio sociale e spese folli, incrementate dalla mancata economia di scala che il ministero dell’Interno avrebbe ben potuto realizzare attraverso «il giorno delle elezioni», espressione di un Paese unito. Elezioni che nel Sud vedranno l’astensione dei giovani residenti, fuori per studio o per lavoro, che stenteranno a tornare apposta per votare.
Ma si sa la Nazione, che ha paura del regionalismo asimmetrico (io sono a favore), assume tutte le diversità territoriali allorquando c’è da dare l’assalto alle istituzioni territoriali da rinnovare. Insomma, le nazioni regionali si differenziano eccome, sotto l’egida della lotta «politica», salvo poi mantenere gli stessi vizi. Anzi, i soliti vizi precedono il ricorso alle urne. Si opta per taluno piuttosto che per talaltro ma non certamente per ciò che entrambi garantiscono di fare.
Quali i programmi è il tema. Sono ovunque sconosciuti nonostante le elezioni dietro l’angolo. Nessuno si pone il problema di pervenire ad un voto consapevole, abbandonando il solito consenso clientelare. L’elettorato passivo va avanti come un treno nelle coalizioni soggiacendo alla spartizione delle Regioni trattate come le colonie romane dell’omonimo Impero. Sa venissimo che quello attivo si gestisce spesso bene come le greggi attratte dall’erba fresca.
Quanto alle politiche promesse dai candidati, ma anche promosse dalle coalizioni, il nulla o quasi. Fatta eccezione per quella ambientale, produttiva e occupazionale destinata alla ex Ilva di Taranto, che con la sua riconversione approvata solleva il vanto di sentirsi italiano: le politiche regionali dei prossimi cinque anni di sette regioni sono solo da immaginare.
Tra queste, quella più interessante sul piano della distribuzione del governo reale sul territorio rimane il contributo che le Regioni si impegnano a dare in termini di delega amministrativa ai Comuni e alle Città metropolitane. Questo è il tema, unitamente ad una programmazione e legislazione sulla aggregazione dei microenti locali degna di questo nome, che eviterà la strage dei borghi. Quei siti tanto apprezzati dal nuovo turismo alla scoperta delle tradizioni e del vivere salubre tra il bello naturale e l’edificato nei secoli. Altrimenti, prevarrà l’aridità umana nei piccoli centri, oramai in mano a suidi e canidi. Nondimeno affatto, conteranno le politiche per la salute, per l’assistenza agli anziani, per rifiuti e mare pulito, per godimento delle acque anche in agricoltura, per trasparenza e tanto di più.
Le elezioni regionali hanno per loro caratteristica un grande pregio e un pessimo difetto. Il pregio è quello di avere l’occasione di scegliere a chi consegnare la propria vita da vicino, sulla base dei propri desideri, delle aspirazioni dei propri figli, dei bisogni di una popolazione che invecchia e non vuole essere abbandonata a se stessa. Il difetto consiste nel non capire bene come si faccia a conseguire il primo. La scelta avviene solitamente sulla selezione degli incapaci a farla, perché impegnati a tutela di altri interessi.
La credibilità presunta si assume attraverso modalità improprie, sino ad arrivare a chi è più bello, più bravo su Facebook, più generoso a distribuire pacche sulle spalle, più avvezzo al compromesso. Insomma, capita spesso di dare fiducia nell’accompagnare i figli e i nonni ai giardinetti, rispettivamente, a sospettati di pedofilia e di maltrattamenti ma molto bravi in comunicazione.
A ben vedere, siamo messi male. E dire che su tre Regioni su sei di chiara estrazione meridionale, seppure sfiancate da bisogni elementari spesso differenziati con la Calabria nella situazione peggiore, si sarebbe potuto celebrare un election day dedicato al Mezzogiorno. Uno spettacolo di democrazia praticata e conseguente, con un copione reciprocamente complementare e dimostrativo di essere in tantissimi, in 12 milioni, ad avere le idee chiare sul da farsi e a pretendere ogni occorrente dal Governo e dall’Ue.
















