Le elezioni amministrative hanno dato prova, al primo turno, dell’esordio di una nuova tipologia del consenso politico locale. Quello fondato sulle pretese reali della nazione di riferimento.
Al di là di Genova, che ha rappresentato un evento a sé anche legato ai trascorsi di Toti, si è verificata una caduta verticale della tradizionale raccolta di voti dei partiti e dei gruppi di potere, stagnanti da sempre al loro interno. Sono tuttavia riemenrse, da un magico inspiegabile cappello, autentiche nostalgiche sigle di vecchi partiti. Il maggiore esempio in Puglia, Massafra e Taranto nel particolare, ove è risorto l’UDC per volontà, si suppone, di Raffaele Fitto, che ne fu allora avanguardista come aderente alla corte di Casini. Un evento, questo, che ha massacrato il centrodestra, lo ha steso. Fenomeno accaduto, per altri versi, in Calabria, a Lamezia Terme ove il centrodestra risulta mutilato nel successo da un «irriverente» travestito da civico, in quanto tale costretto al ballottaggio con Doris Lo Moro.
Il centrosinistra non è andato mica meglio, tanto da essere stato messo da parte dal consenso registrato in favore delle liste civiche. Ma a quelle autentiche, non già strumentali a rendere più accettabile il voto a favore del Pd.
Ha vinto chi ha navigato sia contro l’una (la coalizione di destra) e che contro l’altro (il Pd).
Chi ha stravinto (con il 60% del consenso) è stato chi ha avuto contro entrambi e che ha dovuto combattere contro i gruppi malavitosi, quelli di potere che da anni offendono i diritti delle persone, celati nelle coalizioni tradizionali. Ciò è quanto accaduto a Rende, ove Sandro Principe, trasformatosi in un esempio da imitare, ha inaugurato una stagione dei sindaci di nuova specie. Di quelli che non trascurano il loro dovere di lottare per una sanità meritevole, per l’assistenza ai deboli e ai diversamente giovani, per una politica della casa convenzionata, per la riabilitazione dei bilanci e per l’incentivazione delle nascite.
Da qui, il nuovo Sindaco che occorre alla Nazione e al Paese. Meno cerimonialista e più combattente, con l’intento di vincere la guerra di riportare il prodotto sociosanitario (Lea) efficiente nelle case, pretendendolo attraverso le Conferenze di sindaci messe in disuso incoscientemente, senza che i partiti se ne avvedessero. Meglio, lasciate deserte rendendo facile la strada ai manager delle aziende sanitare di prevaricare la tutela della salute. Più attento alle politiche delle nuove famiglie e delle nuove povertà. Alla Nazione, specie a quella meridionale, occorrono primi cittadini autori di giustizia sociale, assicurata da Sindaci con la manopola in mano, atti a costruire un nuovo modello di governo locale. Tutto questo metterà fine al vecchio concepimento di considerare la sindacatura come primo gradino del professionismo politico, come un ruolo da esercitarsi come terminali della raccolta del consenso dei poteri consolidati, di chi fa bene a se stesso ma molto male agli altri.
Dal 25 e 26 maggio, e mi auguro che sia anche così al ballottaggio dell’8 e 9 giugno, l’occasione di ripensare la politica con i suggerimenti che vengono dal basso, dalla gente che è stanca di soffrire.