Taranto torna al voto il 25 e 26 maggio dopo lo scioglimento anticipato del consiglio comunale. Per la seconda volta consecutiva, l’esperienza amministrativa di Rinaldo Melucci si interrompe prima del tempo, tra tensioni interne e interferenze esterne che hanno reso difficile il governo della città. Lo «stellone» non ha assistito il sindaco uscente né le coalizioni che lo hanno sostenuto. La gestione della cosa pubblica ha somigliato più a un campo di battaglia che a una normale dialettica istituzionale. Negli ultimi anni, Taranto è sembrata vivere sotto una sorta di protettorato informale, con poteri esterni - anche istituzionali - che, più che risolvere problemi, hanno finito per radicalizzarli.
In questo scenario, le prossime elezioni si configurano come un banco di prova del tutto nuovo. In pole position ci sono quattro coalizioni civiche, guidate da candidati sindaci privi di riferimenti diretti ai partiti nazionali. È una svolta rispetto al passato: Taranto si propone oggi come un laboratorio politico anomalo, dove le alleanze si formano su base territoriale e trasversale, senza seguire gli schemi tradizionali del centrosinistra o del centrodestra. Non è un caso che la città sia ormai l’ultimo baluardo del cosiddetto «campo largo» nell’area ionico-salentina: Brindisi è già passata al centrodestra con Pino Marchionna, mentre Lecce è tornata nelle mani di Adriana Poli Bortone, che ha vinto al primo turno defenestrando Carlo Salvemini. A Taranto si andrà quasi certamente al ballottaggio.
I giochi sono aperti, e a San Cataldo - storicamente abituato agli «straordinari» - ci si prepara a un altro finale al fotofinish. Eppure, per quanto simbolico, l’esito del voto a Taranto non influenzerà le prossime elezioni regionali. Il percorso per la guida della Puglia è ormai su binari autonomi. Il centrosinistra ha già individuato in Antonio Decaro - già sindaco di Bari nonché europarlamentare - il proprio candidato alla presidenza della Regione. La sua attesa «accettazione ufficiale» è vista come il naturale proseguimento di un ciclo iniziato dieci anni fa con Michele Emiliano e prima ancora con la «poesia e la prosa» di Nichi Vendola. Cicli lunghi, carichi di luci e ombre: ora la Puglia necessita di un nuovo inizio. Ma Decaro, per quanto stimato, dovrà liberarsi dai «lacci e laccioli» del passato. Il futuro consiglio regionale non può essere il refugium peccatorum di un notabilato politico nostalgico. Serve discontinuità vera, anche nella composizione della classe dirigente.
Sul fronte opposto, il centrodestra appare in affanno. Dopo la corsa improvvisata alle comunali di Bari, dove si è faticosamente trovato un candidato «di sacrificio» per non cedere senza combattere, oggi la coalizione è ancora senza un nome competitivo per la Regione. Un deficit di leadership che pesa come un macigno e che nemmeno l’effetto Giorgia Meloni potrà compensare all’infinito.
Eppure, la Puglia è una regione che ha conosciuto il buongoverno. Da presidenti di ogni colore politico. Ha lasciato il segno a livello nazionale e internazionale, e sarebbe ingiusto cancellare tutto con uno scaricabarile retroattivo. Non si può buttare via il bambino con l’acqua sporca.
Ma il tempo delle rendite è finito. Il voto di Taranto, seppur locale, è il termometro di una sfiducia più profonda. Quella tra cittadini e istituzioni. Recuperarla è la vera sfida. Per Taranto, per la Puglia, e per una politica che voglia davvero tornare ad avere radici nel territorio e a volare alto.