Sabato 06 Settembre 2025 | 13:10

L’importanza di mediare non sempre è facile ma (quasi) sempre è possibile

 
Alessandra Peluso

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Alessandra Peluso

L’importanza di mediare non sempre è facile ma (quasi) sempre è possibile

Perciò si ascolta l’uno ma non l’altro, si propende per l’uno ma non per l’altro. Talvolta senza un valido motivo, dal momento che a prevalere sono le emozioni o i sentimenti, o ancor peggio le utilità

Giovedì 27 Marzo 2025, 14:00

Il mio maestro (a sua insaputa) Georg Simmel mi ha insegnato che, seppur sia molto più facile giudicare, è meglio comprendere. Esprimere un giudizio sembra un’istanza semplice e immediata, divenuta al giorno d’oggi quasi una necessità. Ma comprendere giova non soltanto a far funzionare in modo adeguato le sinapsi e a documentarsi, a conoscere il tutto e non solo la parte, a non cadere nell’errore. Mi direte: «Sbagliare è umano!», sì, senza dubbio, ma oramai tal tipo di errore è radicato in ogni soggettività che eradicarlo non solo è complesso ma richiede uno sforzo sovraumano, capirete come questo comporti un cambiamento radicale per le sorti di un «evento», talvolta con esito tragico.

Tale modalità determina un fatto senza conoscere la realtà nel suo complesso. Ciò avviene perché spesso non si analizza la dualità che costituisce qualcosa, caratterizza l’uno. Se per i greci e i latini la verità risiede nel mezzo, per noi sta quasi sempre da una parte, tale limite ci permette di costruire strutture fenomeniche che cadrebbero con un solo soffio, il logos, giustappunto. E sulle parole si tessono finanche «reputazioni» che, contraddistinguendo vite umane, risulterebbe complicato «decostruirle» e ascoltare le singole parti, ammesso che interessi davvero a qualcuno.

Perciò si ascolta l’uno ma non l’altro, si propende per l’uno ma non per l’altro. Talvolta senza un valido motivo, dal momento che a prevalere sono le emozioni o i sentimenti, o ancor peggio le utilità; ragion per cui le relazioni si frantumano perché intervenire quando le crepe sono oramai evidenti risulta oneroso.

Siamo una società sentimentale, ma non nel senso romantico del termine, si potrebbe dire forse in modo più corretto «sensuale». Prevalgono i sensi, il pensiero critico resta nel «sottosuolo» o nell’«iperuranio». Ad esempio, per chiarezza, un bambino protende a difendere un padre o una madre fino a comprendere in età adulta di aver sbagliato, o meglio di aver giudicato una parte senza comprendere le due parti e le variabili annesse; o come nel caso specifico della «manifestazione per l’Europa», si è iniziato a propendere per il «sì» o il «no»: «Ci sarò», «non ci sarò». Alla fine l’esito è stato eccellente: cinquantamila presenze! Tuttavia è un dato di fatto che non si riesca ad andare oltre. Il «forse» non esiste.

Eppure è quella «datità» che ci consentirebbe di comprendere. Non si è capaci. È preponderante la presenza di «quel» bambino impertinente che non lascia spazio all’adulto e che non fa dire: «Sì, ci sarò, perché voglio solidarizzare con la mia gente. Per chi si è battuto per rendermi la vita agiata». Solidarietà. Pietà; il che significa condivisione, accettazione del sé, dell’alterità. Un segno notevole è anche la piazza di Belgrado con oltre centomila presenze di studenti e popolazione che insieme scendono in piazza contro gli autoritarismi. Un altro gesto simbolico, concreto: la magistrale lezionesul sogno dell’Europa di Roberto Benigni. «Siate fratelli!» Sarebbe un passo avanti enorme se la comprensione facesse capolino, se il pensiero critico fosse puntualmente esercitato per abbracciare le parti e il tutto. Se ragione e sentimento andassero negli abissi dell’anima con volontà e impegno, sebbene costi fatica non soffermarsi su uno anziché su un altro, parteggiare. Sento spesso dire che bisogna schierarsi, sempre, non si può stare nel centro. Ecco appunto schierandosi sempre si hanno ancora conflitti mondiali, si sfocia nell’estremismo, nelle dittature, si compiono omicidi, si cercano i capri espiatori, ecc. Le società crollano perché a prevalere non sono gli ideali, i diritti, le responsabilità, ma spesso i sentimenti della rabbia, della frustrazione, o l’abuso di potere, il piacere della cattiveria, l’aggressività. Non sono esenti le donne. Non sindachiamo ora su cosa significhi essere donna: c’è chi, infatti, come Adriana Cavarero sostiene che Donna si nasce, (al riguardo vi consiglio la sua nuova pubblicazione, con Olivia Guaraldo, Mondadori); c’è chi invece come Simone De Beauvoir ha sostenuto che donna si diventa. Sta a voi (a noi) conoscere, comprendere. Agire. Molte donne nel passato hanno avuto un ruolo essenziale nel rendere grande il nostro Paese. È noto. Ursula Hirschmann e Ada Rossi nello specifico hanno contribuito a diffondere le idee del Manifesto di Ventotene. Oggi viviamo in una società progredita anche grazie a loro, sebbene paradossalmente si viva ancora in una fase embrionale, anzi, adolescenziale. E così, forse dovremmo imparare a stare nel mezzo, appellandoci alla democrazia, alla medietas, all’equilibrio. Alla libertà fraterna. Appare indispensabile quel «terzo» elemento che nessuno vuole ma che risulta necessario per legare le due contrapposizioni, per giungere a una conciliazione, per reggere le parti: il «mediatore» ha un ruolo determinante in ogni ambito, anche giuridico. Comprenderlo esercitando il dialogo, la dialettica (hegeliana) sarebbe come aver colto la meta da seguire.

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