Esiste ancora il patriarcato in Italia? No, il patriarcato non esiste più. Diciamo meglio: non esiste come dominio o possesso legittimato delle donne da parte degli uomini. Certo, esistono ancora moltissime discriminazioni contro le donne ma, al di là delle rivendicazioni per i diritti ancora mancanti, l’indipendenza femminile ha fatto, nel primo scorcio di questo secolo, un salto di qualità oggettivo. E, dunque, scriviamolo a chiare lettere: l’edificio normativo del patriarcato va ufficialmente sbriciolandosi mentre si è aperta la fase complessa di una riscrittura – né facile, né priva di tensioni - di un nuovo patto sociale fra generi.
Questa riscrittura affronta temi caldissimi: la crisi della virilità tradizionale, l’abbandono degli stereotipi di genere, la ricerca diffusa da parte di ambo i sessi di forme di vita più libere di quelle in precedenza regolate dal patriarcato.
Tutto bene, dunque? Purtroppo no. La fine del patriarcato ha innescato un «disordine» sociale che è anch’esso, esattamente come l’indipendenza femminile, oggettivo. Questo disordine si manifesta in fenomeni diffusi che vanno dalla molestia alla violenza, specie in contesti dove ignoranza e marginalità amplificano nei giovani maschi l’idea (sbagliata) che la sottrazione di credito all’«egemonia» del sesso «forte» corrisponda a una perdita di virilità. I maschi culturalmente e psicologicamente fragili cercano conferme identitarie imponendo la cifra «proprietaria» a costo della vita delle giovani fidanzate, come nel caso della povera Giulia Cecchettin, oppure nelle spacconerie del branco tribale. Come accadde a Colonia nel 2016, quando centinaia di arabi molestarono ragazze libere fino a stuprarne due. Qualcosa di analogo accadde in Italia due anni fa quando una trentina di giovani, tutti di origine africana, costrinsero un gruppo di ragazze a scendere da un treno diretto a Milano.
Da giorni il ministro dell’istruzione e del merito Valditara viene fortemente contestato e sottoposto a fact-checking per avere affermato che l’incremento di fenomeni di violenza sessuale è legato anche a forme di marginalità discendenti da una immigrazione illegale. Anche e non solo, come è ovvio. Non c’è bisogno di spaccare il capello in quattro per riconoscere la correlazione che esiste fra devianza sociale e violenze di genere. Da qualunque parte tali violenze arrivino. Cosa c’è di così eccentrico, di così bizzarro, di così lontano dalla realtà oggettiva delle cose, nelle parole usate da Valditara? Il ministro ha anche affermato che l’unico antidoto per prevenire la violenza di genere resta l’azione delle scuole, delle famiglie, di tutte le agenzie educative. Ma queste parole non hanno avuto eco mediatico. Si è guardato il dito e non la luna.