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Ma al Sud di iperturismo si può anche morire... di «Blue economy» si rinasce

 
Nicola Didonna

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Nicola Didonna

Ma al Sud ii iperturismo si può anche morire... di «Blue economy» si rinasce

La Blue Economy comprende diversi settori: dal turismo costiero alla pesca e acquacoltura per passare a settori più industriali come cantieristica navale, logistica portuale, protezione ecosistema e generazione energia

Giovedì 31 Ottobre 2024, 13:00

Èarrivato il momento di fare una vera politica industriale per la Blu Economy che non sia solo b&b e ristoranti.

Questo sembra dirci il XII rapporto sulla Blu Economy (economia del mare) diffuso da Unioncamere in collaborazione con l’Istituto Tagliacarne che ci offre uno spaccato interessante del comparto e induce riflessioni critiche. A cominciare dalla Puglia, che con i suoi oltre mille chilometri di costa, rappresenta da sola il 14% dello sviluppo complessivo delle coste italiane.

La Blu Economy comprende diversi settori: dal turismo costiero alla pesca e acquacoltura per passare a settori più industriali come cantieristica navale, logistica portuale, protezione ecosistema e generazione energia.

Un comparto significativo che in Italia produce un valore aggiunto, ricchezza, di circa 60 miliardi pari ad oltre il 10% del PIL nazionale e un milione di occupati.

Nel 2022 ha fatto registrare una crescita vigorosa del 6,6% rispetto ad una media totale nazionale dell’1,7% nello stesso anno.

Finalmente l’Italia sembra aver compreso che bisogna riportare il mare e la sua economia al centro della politica industriale nazionale.

Per troppo tempo la storia marittima è stata trascurata.

Così nel suo primo piano triennale il CIPOM, Comitato Interministeriale per le Politiche del Mare, ha fissato le priorità per una strategia marittima unitaria per far diventare l’Italia una «grande nazione del mare».

Il Sud produce quasi un terzo del valore aggiunto, pari a 21 miliardi, con 370 mila occupati e grazie a 111 mila imprese, pari al 48% di quelle totali della Blu Economy.

Sono imprese in cui si nota una prevalenza, rispetto al nord e al centro, di occupati giovani e donne.

Non a caso infatti, come spesso accade, registriamo un valore aggiunto per addetto più basso rispetto alla media nazionale in quanto relativo a settori labour intensive, con bassa produttività.

Quelli, per capirci, di cui ci lamentiamo costantemente per il fenomeno deteriore del cosiddetto iperturismo che rendono più difficile ai residenti conciliare la propria vita quotidiana.

Concentrato su settori poveri il comparto sfrutta male anche il moltiplicatore che ogni euro investito potrebbe attivare per il resto del sistema economico: al Nord, industrializzato, è mediamente pari a 2 mentre al Sud è di solo 1,6.

Adeguando il modello di sviluppo e il relativo moltiplicatore, il meridione potrebbe creare altri 8 miliardi di ricchezza aggiuntiva.

I settori con un moltiplicatore maggiore sono quelli del trasporto delle persone e delle merci e della cantieristica; quelli meno performanti le attività turistiche e sportive, i servizi di alloggio e ristorazione e la filiera ittica.

La cosa sorprendente è che come il Nord continentale fa meglio del Sud marittimo, così la Germania fa addirittura meglio dell’Italia!

Con un incremento della partecipazione del settore della Blu Economy al valore aggiunto nazionale passato in Germania dal 16% al 25% dal 2009.

Nello stesso arco temporale in Italia il settore si è ridotto dal 13,7% al 10,7% insieme ad una riduzione dell’occupazione del 2,6%.

Appaiono evidenti i danni derivanti dall’assenza di una politica industriale del comparto lasciato a se stesso e troppo concentrato su produzioni a basso valore aggiunto di piccole imprese.

È arrivato evidentemente il momento di tracciare una nuova rotta per esaltare le sinergie di sistema e sfruttare al meglio le potenzialità di un comparto che dovrebbe essere privilegiato per una penisola bagnata da tre mari come l’Italia e il Sud in particolare

Non resta che mollare gli ormeggi!

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