Il Governo Meloni, nel dicembre scorso, ha approvato la revisione del Patto di stabilità e crescita europeo che dispone interventi di riduzione del rapporto debito pubblico/Pil, in particolare per quei Paesi, come l’Italia, con elevato debito pubblico. Il nuovo articolo 81 della Costituzione obbliga al pareggio di bilancio, tenendo conto del ciclo economico. Il combinato di questi due vincoli rende problematico il finanziamento sia dei livelli essenziali delle prestazioni, sia di meccanismi perequativi che garantiscano alle regioni meridionali servizi di welfare di qualità almeno non peggiore di quella attuale, in considerazione del fatto che obbliga a riduzioni della spesa pubblica, soprattutto alla conclusione del PNRR.
Ci si riferisce, in particolare, al servizio sanitario: ambito per il quale le divergenze regionali sono, ad oggi, le più elevate. Si stima che l’aggiustamento fiscale da realizzare nel periodo 2025-2028 sarà più severo di quello, già molto intenso, del massimo periodo di austerità recentemente sperimentato in Italia, ovvero dal 2011 al 2014. Se si adotta una prospettiva di analisi di medio-lungo termine, si realizza che la fase post-Pnrr, combinata con il ritorno dell’austerità, potrebbe essere estremamente complicata per il Mezzogiorno e per l’economia italiana nel suo complesso, per due ragioni: in primo luogo, occorre considerare che la recente crescita realizzata dalle Regioni meridionali è imputata quasi esclusivamente agli investimenti pubblici, come documentato nell’ultimo Rapporto Svimez; in secondo luogo, occorre ricordare che, storicamente, le fasi di austerità hanno coinciso o con l’affermarsi del populismo o con il fascismo.
L’articolo 4 della Legge sull’autonomia differenziata recita che il trasferimento delle funzioni potrà avvenire «soltanto dopo la determinazione dei medesimi Lep e dei relativi costi e fabbisogni standard, nei limiti delle risorse rese disponibili nella legge di bilancio». La determinazione dei Lep dipende, dunque, dai margini di manovra disponibili in ordine alla gestione della spesa pubblica. Come ha dichiarato Sabino Cassese, in audizione al Senato: «Non si può pensare che da un giorno all’altro, se si vuole mantenere l’equilibrio di bilancio dello Stato italiano, vi sarà una somma stanziata adeguata a raggiungere certi obiettivi che sono definiti nei Lep».
A titolo esemplificativo, si può ricordare che l’Ufficio Parlamentare di Bilancio stima in 4 miliardi aggiuntivi la spesa pubblica nazionale necessaria per il solo funzionamento degli asili nido (escludendo mense e riscaldamenti, a carico dei Comuni).
Due aspetti meritano di essere ulteriormente sottolineati, anche in vista dei referendum.
1) Come evidenziato da molti analisti, è praticamente impossibile stabilire i livelli essenziali delle prestazioni in termini puramente tecnici, sia perché i livelli di riferimento sui quali calibrare le prestazioni nelle aree meno sviluppate non possono che essere oggetto di decisioni politiche, sia perché per ogni Lep esiste un livello di dettaglio rispetto al quale nessuna disposizione legislativa può influire. Vi è da aggiungere che limitare l’opposizione all’autonomia differenziata rivendicando l’applicazione dei Lep corre il rischio di ricondurre, nella migliore delle ipotesi, la battaglia politica in corso alla seppur importante difesa del welfare meridionale, o eventualmente del suo potenziamento, senza però mettere in discussione le cause delle divergenze regionali e soprattutto senza mettere in campo una doverosa riflessione sull’individuazione dei fattori che possano generare uno sviluppo economico autonomo delle aree più deboli del Paese, a partire dalla sua re-industrializzazione;
2) L’argomento leghista del guadagno di efficienza derivante dalla responsabilizzazione della classe politica locale appare viziato dalla mancata considerazione del fatto che, come di norma accade, la classe politica locale è emanazione di quella nazionale, dal momento che la selezione dei candidati alle elezioni amministrative avviene normalmente a Roma, nelle segreterie di partito, o comunque non può prescindere da una selezione accentrata.
Alla luce di queste due considerazioni, sarebbe opportuno impostare l’opposizione referendaria in chiave propositiva e non puramente difensiva dello stato dei fatti. Si tratterebbe innanzitutto di considerare che livelli quantitativamente e qualitativamente elevati dei servizi di welfare nel Mezzogiorno possono essere garantiti anche da maggior gettito fiscale recuperabile in loco e che ciò non può che avvenire promuovendone maggiore crescita economica, al netto ovviamente delle misure di contrasto a evasione fiscale e sommerso oggi in larga misura del tutto assenti.
Gli spazi di manovra per l’inversione di rotta ci sono: il Parlamento, al momento, ha solo disposto le procedure legislative e amministrative per l’applicazione dell’art.116 della Costituzione mentre gli aspetti sostanziali della riforma attendono ancora di essere definiti.