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Giustizia e informazione: il proibizionismo non è la soluzione giusta

 
Fernanda Fraioli

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Fernanda Fraioli

Giustizia e informazione: il proibizionismo non è la soluzione giusta

Che il rapporto debba essere disciplinato a dovere è cosa non soltanto nota, ma che non può più aspettare perché, se vero è che la giustizia si amministra in nome del popolo italiano, altrettanto vero è che questo debba essere messo al corrente di quel che lo riguarda

Giovedì 04 Gennaio 2024, 13:50

La votazione da parte della maggioranza parlamentare, insieme ad altri due partiti, dell’emendamento Costa alla legge di Delegazione europea del 19 dicembre, secondo il quale le ordinanze di custodia cautelare non potranno più essere pubblicate fino al termine delle indagini, riporta in auge l’atavico rapporto tra giornalisti e magistratura.

E già tre giorni dopo ha fatto registrare in merito un’«obiezione di coscienza», come è stata definita, da parte di un procuratore capo di una delle nostre Procure, mentre un altro ha aggiunto «legge ingiustificata, darò ancora gli atti» a motivazione della propria scelta di privilegiare la trasparenza delle fonti nella comunicazione giudiziaria.

Da sempre i giornalisti hanno percorso i corridoi degli uffici giudiziari in cerca di notizie più che freschissime che gli consentissero lo scoop o quantomeno di scrivere un articolo interessante ed il più possibile accattivante rispetto ad altri.

Da sempre sono riusciti in modo assolutamente anonimo ad entrare in possesso di queste notizie a volte, ammettiamolo pure, causando dei danni per aver riportato nomi, fatti e particolari rilevanti solo per il conseguente gossip che ora fanno da base alla novella normativa.

Tecnicamente dovremmo dire che questa è la sua ratio legis, atteso che con ciò è soliti individuare lo scopo, il fine ultimo che il legislatore intende perseguire mediante l’emanazione di una disposizione normativa che, poi, servirà agli stessi giudici in sede contenziosa o precontenziosa per interpretarle, al di là del mero dato testuale, onde disciplinare il caso sottoposto al loro giudizio.

Ma al di là di questa dotta dissertazione, il problema dei rapporti tra magistratura e giornalisti sotto questo punto di vista, resta.

Che il rapporto debba essere disciplinato a dovere è cosa non soltanto nota, ma che non può più aspettare perché, se vero è che la giustizia si amministra in nome del popolo italiano, altrettanto vero è che questo, allora, debba essere messo al corrente di quel che lo riguarda in qualità di delegante.

Finora le notizie venivano apprese sottobanco perché ai giornalisti, come a chiunque altro non strettamente addetto ai lavori, non è consentito l’accesso agli atti. Ad onor del vero, qualche Procura lo ammette - visto che comunque i giornalisti le notizie riuscivano pur sempre ad avere - ritenendo, dobbiamo riconoscere a ragione, che apprendere un fatto ed i suoi contorni direttamente da un atto originale offre sicuramente meno rischio di riportare annunci non corretti e/o rivisti dalla penna di chi scrive o, peggio ancora, di chi passa la notizia.

Ora, invece, questa legge (che legge ancora non è perché ancora non varata) intende vietarne la pubblicazione favorendo - proprio come un secolo fa il Noble Experiment ha fatto con il XVIII emendamento della Costituzione degli Stati Uniti - ogni forma di interdizione al loro uso e consumo. In ciò dobbiamo dire persuasi che l’effetto sarà lo stesso.

Conosciamo tutti dai libri di scuola, dai racconti dei nonni o molto più semplicemente dalla cinematografia gli effetti perversi del proibizionismo. Ed in questo caso v’è da credere che non sarà diverso.

Ci sono soggetti che, per forza di cose, devono venire a conoscenza del contenuto di tali provvedimenti e nell’impossibilità di controllarli, ma soprattutto di provare l’avvenuta diffusione per mano loro delle notizie, se ne fanno portatori presso la stampa.

E così quella che, per ogni notizia, non soltanto di carattere giudiziario, funge da cassa di risonanza, corre il rischio di diffondere il consentito, il non consentito, ma soprattutto di non rispettare la tempistica che in numerosi casi è il maggior indiziato.

Tutto ciò detto, molto sommessamente, ci permettiamo di rilevare che se una disciplina dei rapporti in tale campo è cosa non solo buona e giusta, ma addirittura auspicabile, altrettanto vero è che una sua regolamentazione più che passare per un proibizionismo da XVIII emendamento, dovrebbe molto più semplicemente prevedere un accesso ufficiale agli atti di Procura onde trarre dalla reale stesura degli stessi quegli elementi che consentano al giornalista di redigere un articolo il più possibile fedele, magari prevedendo, qui, delle conseguenze non piacevoli in caso di ricostruzione dolosa, ma con la certezza della genuinità della fonte.

In tal modo, ne siamo persuasi, anche la presunzione di innocenza - principale bene che la novella normativa dice di voler salvaguardare - ne sarebbe tutelata in quanto anch’essa figlia di una corretta e veritiera informazione.

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