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Quella «non-notizia» di un treno in ritardo per il cenone di Natale

 
Lino Patruno

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Lino Patruno

Quella «non-notizia» di un treno in ritardo per il cenone di Natale

Fosse avvenuto al Nord, sarebbe finito su tutti i giornali e su tutte le tv. In questo caso, se ne sono occupati solo i giornali pugliesi

Venerdì 29 Dicembre 2023, 13:40

Questo articolo è una violazione della prima regola del giornalismo. È quella in base alla quale si deve dare una notizia solo quando è notizia. L’esempio che conoscono anche i bambini è il cane che morde l’uomo: una non-notizia. Se fosse l’uomo a mordere il cane, questa sì che sarebbe notizia. Ovviamente se a mordere l’uomo fosse il cane della Meloni, la non-notizia diventerebbe notizia. Ma non divaghiamo.

La non-notizia di questo articolo è un ritardo di 4 ore del treno Roma-Lecce. Avvenuto il giorno 24 scorso, che non è una notizia ricordare come fosse la vigilia di Natale. Ciò che per i malcapitati a bordo si è tradotto in un mancato cenone o in un cenone avvelenato.

Fosse avvenuto al Nord, sarebbe finito su tutti i giornali e su tutte le tv. In questo caso, se ne sono occupati solo i giornali pugliesi. Anche perché, che notizia è se sulla stessa tratta era già avvenuto il 17 dicembre, e prima ad aprile, e poi a giugno, e poi a luglio? Qualcuno ha commentato: questa linea è ferma alla prima guerra mondiale. Col solito disagio di rimanere in un forno d’estate e in una ghiacciaia d’inverno. E senza altra spiegazione se non quella del «problema tecnico», sarebbe stata una notizia se si fosse trattato di un problema gastronomico o culturale.

Il fatto è che del Sud «a nessuno gliene importa», come avrebbe cantato Pino Daniele. Nel senso che nessuno muove un dito (nessuno di chi dovrebbe e potrebbe) fino al prossimo ritardo, cioè alla prossima non-notizia. Per ora continuano a chiamare quel treno «Freccia argento», e figuriamoci se fosse di piombo. Ma non solo la tratta romana, in attesa che il Napoli-Bari diretto non faccia il miracolo più tardivo nella storia dell’umanità.

Proprio giorni fa Gianpiero Striscuglio, amministratore delegato di Rete Ferroviaria Italiana (e barese laureato al Politecnico di Bari) ha parlato della linea adriatica a una nutrita e rappresentativa delegazione organizzata dall’associazione «L’Isola che non c’è». Si sta lavorando alla possibilità di un cambiamento che dovrebbe portare a una maggiore velocità. Alta velocità? Beh, quasi. Comunque una notizia, visto che finora c’era stata una chiusura perché i costi erano considerati superiori ai benefici. Cioè il diritto fondamentale alla mobilità (fra l’altro garantito dalla Costituzione) trattato come un conto da ragioniere.

Nessuno spari sull’ingegner Striscuglio, anche per la sua onestà nel parlare di un ruolo «eminentemente tecnico» da parte sua. Ché il problema è esattamente quello: ci vuole una volontà politica di non abbandonare il Sud alla bassa velocità che significa sottosviluppo. Ma volontà politica di chi nell’Italia con la mai affrontata diseguaglianza territoriale più ampia e duratura d’Europa? Se vuoi dare un altro nome allo sviluppo, chiamalo treno. Togli il treno (o fallo arrivare in ritardo) e questo Sud già periferico lo tieni lontano. Lontano non solo dal resto del Paese beneficiato da tutti i Frecciarossa del mondo. Ma lontano fra le sue stesse città, si dovessero mettere in testa di essere talmente ben collegate fra loro da diventare una forza. Diciamo una concorrenza per l’altra Italia definita spudoratamente Alta.

È stato uno studio dell’università Federico II di Napoli (coordinato dal professor Ennio Cascetta, autorità in merito) a rivelare l’indicibile. Il Pil (reddito) meridionale sarebbe cresciuto del 3,3 per cento (60 miliardi) se il sopra detto Frecciarossa avesse raggiunto anche il Sud (dove riguarda solo 181 chilometri fermandosi a Salerno, il 12,3 per cento del totale nazionale). Perché il reddito delle città-Tav è cresciuto finora del 10 per cento rispetto a quello delle città-no Tav. Ciò che dimostra come il treno veloce non è solo un lusso da Vip ma un interesse italiano, visto che col Sud sarebbe cresciuta tutta l’Italia. Confermando come il Sud convenga all’Italia, non solo a sé stesso. (Discorso a parte il nuovo tentativo di Ita di tagliare i voli fra Brindisi e Milano, che vuol dire anche fra Milano e Brindisi per chi pensasse a una vacanza qui).

Ora però il Pnrr mitico ha destinato al Sud il 40 per cento delle opere prioritarie per i trasporti, addirittura il 58,5 per cento compresi fondi complementari. Diresti: questa è una notizia. Poi però apprendi che solo il 13,3 per cento delle opere sono già in corso al Sud (contro il 33,5 per cento al Centro Nord). Perché finora le amministrazioni del Sud erano state tanto svuotate rispetto alle altre, da arrivare a questo risultato. Cioè, rieccoci, a una non-notizia.

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