Non è facile sintetizzare il contributo di tutti gli interventi (Presidente del Tribunale per i minori, dirigenti scolastici, psicoterapeuti) del convegno tenuto recentemente nell’Aula Magna dell’Ateneo a Bari. Sono emerse le difficoltà dei genitori e dei docenti a portare avanti un dialogo vero con i ragazzi che stanno scontando ancora gli effetti della pandemia sulla loro salute mentale. La sofferenza dei ragazzi è evidente a casa come a scuola.
I ragazzi vivono purtroppo le aspettative di successo dei genitori e faticano ad esprimere emozioni negative. Gli adulti sono troppo fragili per accettare gli insuccessi dei figli e non permettono loro di esprimere tristezza, paura o rabbia. Invece i ragazzi vanno lasciati liberi di parlare dei sentimenti, delle paure, delle insicurezze,
Certamente crescere un figlio nell’era digitale non è facile, anche perché scuola e famiglia spesso sono lontani. Forse il sapere, quello che ci insegna a vivere non ha niente a che vedere con la scuola come se ci fosse una interruzione tra scuola e vita. Infatti per molti adolescenti la vera vita è quella in rete; cercano nel web quella approvazione, quella stima che non trovano in famiglia. Con la rivoluzione digitale la famiglia rischia l’estinzione perché colpita in quella che è il suo motore: la relazione affettiva con i suoi necessari conflitti.
Spesso i ragazzi oggi saltano la scuola, non hanno voglia di uscire con gli amici, preferiscono contattarli via social, spesso non si accettano così come sono. In tutto questo è proprio un peccato che la scuola non si adegui al nuovo profilo cognitivo dei nativi digitali caratterizzato da un linguaggio per immagini che prevale sulla parola scritta sulla carta.
Il rapporto che intercorre oggi tra gli adolescenti nativi digitali e la scuola è infatti molto complesso anche per la difficoltà dell’istituzione scolastica di integrare nei processi formativi i cambiamenti indotti dal mondo virtuale, proprio nel modo di apprendere e di accedere al sapere da parte degli studenti.
L’uso della tecnologia è spesso qualcosa di molto lontano delle attuali pratiche di insegnamento e la mente dei nativi digitali e il sapere si sono profondamente trasformati.
In definitiva per i ragazzi essere digitali significa sostanzialmente essere. Studiano, si informano, si innamorano, leggono, utilizzando uno smartphone e poche piattaforme (Whatsapp, Instagram e TikTok) sulle quali pubblicano ogni momento della loro vita: piattaforme che orientano il loro modo di vestirsi, di mangiare, di parlare, di pensare e quindi di vivere. Per loro la rete è diventata una seconda famiglia.
Il problema è come proteggere i ragazzi dalle insidie del Web, cercando una strategia per l’uso corretto, utile, sicuro della tecnologia digitale.
I genitori dovrebbero preoccuparsi non tanto di quante ore i figli trascorrono sul web , ma di cosa fanno e quali sono i loro scopi; tenendo presente che l’iperinvestimento nei videogiochi e nei social talora può riflettere un disagio e una sofferenza sottostanti.
Il genitore deve cercare di farsi raccontare dal figlio come vive nel mondo online se in rete gioca da solo o con altri, se si rifugia su internet per non pensare ad un suo problema; talvolta il ragazzo fa dipendere la stima che ha di sé dai like che ottiene. Questo talvolta può spingerlo a postare foto con parti nude del proprio corpo e partecipare alle social challenge .
Pertanto è importante che i genitori siano di esempio con il loro comportamento, non postando selfie di continuo, e riducendo il bisogno di visibilità e popolarità.
Certamente gli adolescenti che presentano comportamenti a rischio (atti di autolesionismo e tentativi di suicidio ) hanno difficoltà comunicativa con i genitori. È fondamentale riconoscere la tristezza e la frustrazione del proprio figlio, dedicando tempo all’ascolto dei suoi pensieri e interesse verso i suoi stati d’animo. Questo è fondamentale per l’educazione emotiva e per creare un rapporto di fiducia col minore.
L’altro punto è la scuola. Il modello tradizionale è in affanno : lezioni frontali di 4/6 ore , compiti a casa, interrogazioni tradizionali . Purtroppo la Scuola ha smesso di essere un ascensore sociale non perché sia diminuito il tasso di scolarizzazione ma perché la sua reputazione si è progressivamente spenta. La Scuola ha perso credibilità perché la società ha perso fiducia nella conoscenza. L’istruzione deve tornare ad essere considerata una occasione di mobilità per tutti, indipendentemente dalla famiglia.
Si dovrebbe cominciare a pensare la didattica come attività laboratoriale in cui il docente facilita e supporta i processi di apprendimento ricorrendo alle nuove tecnologie. Purtroppo i docenti non sono mai stati oggetto di un’attività di aggiornamento adeguata, perché è mancata un’offerta formativa che consentisse di acquisire nuove metodologie didattiche anche digitali.
Certamente può incidere significativamente una didattica che pone al centro gli studenti e il loro potenziale (ancor prima delle nozioni) e che utilizza mezzi e linguaggi a loro vicino.
In conclusione resta fondamentale l’alleanza tra scuola e famiglia per guardare nella stessa direzione nel rispetto dei ruoli , una sorta di patto educativo.