Ma quante previsioni, strategie e scenari politici futuri scatenano queste amministrative. Peccato che, se la matematica non è ancora un’opinione, solo 6 capoluoghi di provincia su 13 chiamati al voto in Italia hanno deciso i sindaci che dovranno guidarli (dunque meno della metà). Idem in Puglia, dove 8 Comuni sui 13 con popolazione oltre i 15mila residenti andranno al ballottaggio: Acquaviva delle Fonti, Altamura, Mola di Bari, Valenzano e Noci, nel Barese, oltre Carovigno, nel Brindisino e Bisceglie nella Bat. Per non parlare della stessa Brindisi, dove il cosiddetto «test» elettorale era particolarmente atteso e dove bisognerà, ora, aspettare il secondo turno del 28-29 maggio.
Fatta questa premessa, forse è il caso di farne un’altra. Ma davvero si possono paragonare le sfide nei territori comunali con la corsa che i partiti (anzi le coalizioni, vista l’enorme differenza di bacino elettorale e di ampiezza dei collegi) ingaggeranno per le Europee? Perché, al netto delle legittime rivendicazioni da parte di tutti («ho vinto io», dice il Pd; «ho vinto io» dice FdI), a sentire osservatori e analisti pare che, a seconda dello scenario nazionale che maturerà da queste amministrative - ribadiamo, ormai rinviato a fine mese - addirittura la premier Meloni dovrebbe decidere quali equilibri andare a proporre nell’Ue d’intesa con i conservatori europei.
Insomma, se l’amministrazione comunale di Acquaviva delle Fonti cambierà colore politico a fine maggio, l’anno prossimo si deciderà se l’Italia andrà a dare battaglia a Bruxelles sposando le politiche del premier ungherese Orban....
Anche a non volerci fermare nell’«ombelico» del Tacco dello Stivale, quale termometro politico potrebbe farci misurare la «febbre» europea nel resto d’Italia? Una selva di 595 municipi hanno aperto i seggi per due giorni e in tutti questi, nella gran parte dei casi, si sono presentate liste civiche, ovvero movimenti messi in piedi o dal singolo leader della piccola comunità candidato a prendere la prima poltrona o variegate e trasversali alleanze tra soggetti di colore diverso messe in piedi dagli stessi partiti. Unioni, queste, nella migliore delle ipotesi cementate dal «bene comune» del paesello o della città nel quale si vuole migliorare la viabilità o la fognatura; nel peggiore, dalla voglia di potere locale se possibile «certificata» da uno stipendio nemmeno così elevato (quello destinato ai consiglieri comunali). Ecco, su queste basi le Schlein, le Meloni, i Salvini e i Berlusconi dovrebbero ragionare, facendo di conto, come schierarsi nel Parlamento di Strasburgo?
Se c’è una cosa che la politica - almeno in democrazia - non ammette è il ragionamento privo di numeri certi, il pensiero basato su paragoni insostenibili. L’ideologia ci sta, per carità, ma almeno il confronto tra diversi test elettorali andrebbe riportato alla realtà. E la realtà è che ad Ancona, Massa, Pisa, Vicenza o Brindisi ancora non è finita la partita. La palla è tornata al centro del campo e a sfidarsi non sono le Nazionali chiamate alle Coppe internazionali, ma rispettabilissime squadre di serie C o di Eccellenza. A fine mese l’esito darà 8 capoluoghi al centrodestra e 5 al centrosinistra? Dei 595 campanili dove si è votato, due terzi andranno alla «trazione» meloniana che governa il Paese e un terzo alla «trazione» Schlein-Conte che guida le opposizioni? O accadrà il contrario? Qualunque sia l’esito, piaccia o no alle tifoserie in campo, per favore riportiamolo nello «stadio» giusto che non è il «Bernabeu» di Madrid.
E ricordiamoci che le regole del gioco (ovvero le modalità elettorali) sono completamente diverse sia dalle Politiche nazionali che dalle Europee. Soprattutto non dimentichiamoci la lezione che, in particolar modo in anni recenti, la politica ci ha insegnato: in Puglia come in Lombardia, a Roma come a Strasburgo, nel giro di un anno può cambiare tutto.
















