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In quel mare allargato non bastano i militari

In quel mare allargato non bastano i militari

 
Alessandro Vanoli

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Alessandro Vanoli

In quel mare allargato non bastano i militari

Gli Stati Uniti rinunciano al «controllo» diretto. Le mire di Francia, Russia e Turchia La delicata posizione di Roma

Sabato 13 Maggio 2023, 13:04

Sapete cos’è il Mediterraneo allargato? Il termine per la verità è abbastanza nuovo. È nato in senso alla difesa italiana e poi è stato utilizzato sempre di più dal nostro ministero degli esteri. Si tratta insomma di una visione geostrategica che dice sostanzialmente che il nostro mare non va considerato nei suoi più evidenti limiti geografici, ma in una spazio più ampio che dall’Atlantico giunga sino all’Oceano Indiano.

In realtà, fatte le debite distinzioni, si tratta di un’idea parecchio antica, che in un certo senso rischia di giungere almeno sino ai Romani. Quando Plinio parlava dello spazio commerciale dell’impero, lo faceva esattamente in questi termini, mettendo il Mare Nostrum al centro di traffici che dall’Atlantico giungevano sino alle coste occidentali dell’India, dove i mercanti acquistavano tutto ciò che a Roma si traduceva come lusso: pepe, perle, sete, giade e via dicendo.

Allo stesso modo millecinquecento anni dopo, quando i «baili», gli ambasciatori veneziani presso la Sublime porta mandavano le loro ambascerie, raccontavano di un mondo che si estendeva dai Balcani a Siria, Egitto e Maghreb, sino alla Mesopotamia e all’Arabia, ma anche alla Moscovia e all’Oceano Indiano.

Ma questo è comprensibile: il Mediterraneo non è mai stato un sistema chiuso e chi lo viveva o lo governava è sempre stato obbligato a pensarlo in grande. I problemi e le priorità naturalmente sono sempre cambiati. E il fatto che oggi questo termine, questa idea di Mediterraneo allargato, si tornata prepotentemente alla ribalta, dice molto del nostro complicato presente. Pochi giorni fa, ho partecipato a un interessante seminario su questo tema, voluto da Egidio Ivetic, della Fondazione Cini di Venezia. Tra le tante cose emerse, appare chiara soprattutto l’urgenza.

C’è innanzi tutto una questione di evidente sicurezza: dal Mediterraneo passa di tutto in termini di merci e di uomini. Il golfo di Gibilterra ci apre verso l’Atlantico, così come il Canale di Suez ci connette al Pacifico, facendo sì che una parte fondamentale degli scambi mondiali si trovi a transitare dal Canale di Sicilia. Senza contare l’energia, visto da lì sotto scorrono le principali reti che tengono in piedi l’economia italiana e europea: Transmed, innanzi tutto, il gasdotto che collega Algeria e Sicilia; e Greenstream che parte dalla Libia. E oltre a tutto questo, le persone, i migranti: la massa spaventosa di uomini e donne, che dal Sahel si spinge ormai da tempo sino alle nostre coste. È così che prende il suo senso più urgente l’idea di un Mediterraneo allargato. Perché è evidente che la nostra politica estera poggia sulla volontà dei nostri partner economici più forti, gli Stati Uniti in primo luogo (impossibile pensare di essere davvero autonomi considerando le dimensioni spaventose del nostro debito sovrano, una situazione che ci obbliga ogni anno a rastrellare sul mercato qualcosa come 400 o 500 miliardi di euro).

Ma è altrettanto evidente che ormai da tempo, da alcuni decenni, gli Stati Uniti stanno allontanandosi sempre di più di un controllo di prossimità del mondo, preferendo una gestione, per così dire, da remoto, fatta di satelliti, internet e flotte militari. Lo hanno fatto anche nel Mediterraneo ovviamente, dove il vuoto che hanno lasciato è stato rapidamente riempito da altri: francesi e turchi in primo luogo (per non parlare dell’attiva presenza russa in Siria e in Libia). E l’Italia, in tutto questo si ritrova con un ruolo per niente facile: la gestione dei migranti è solo l’aspetto più evidente di una situazione a dir poco complicata che la vede in prima linea. Non a caso il Mediterraneo allargato nella prospettiva italiana incorpora l’intero Sahel: perché per noi il controllo dei flussi migratori è ormai strategico e determinante sul piano di qualsiasi decisione di politica interna (indipendentemente dallo schieramento politico).

Una situazione che però potrebbe anche rappresentare una grande possibilità: ricostruire, pezzo dopo pezzo, al netto di ogni limite possibile, una vera politica mediterranea, che non sia fatta di sola strategia militare, ma di una grande prospettiva politica e culturale.

È già capitato in passato, varrebbe la pena almeno provarci anche questa volta.

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