Finisce un secolo alla Bersagliera. Gina Lollobrigida si è arresa ieri a 95 anni. Addio alla Donna più bella del mondo, alla Venere imperiale e alla Regina di Saba, per dirla con tre titoli dei suoi oltre sessanta film. Senza dimenticare la Fata dai capelli turchini del Pinocchio di Luigi Comencini (1972), lo stesso regista che vent’anni prima l’aveva lanciata in Pane, amore e fantasia. Gina è appunto «Pizzicarella la Bersagliera» della quale si invaghisce il maresciallo Vittorio De Sica. Addio alla Lollo dei due mondi, Cinecittà e Hollywood, forse tre con Cuba dove - nelle vesti di fotografa - immortalò e stregò Fidel Castro negli anni ‘70. Il lider maximo non era certo il primo e non fu l’ultimo a perder la cabeza per l’attrice che giovanissima a Los Angeles aveva detto «no, grazie» alle profferte del miliardario e produttore Howard Hughes: un contratto in esclusiva, fin troppo esclusivo visto che prevedeva il capriccio di prenderla in sposa. #MeToo, Gina Before. A 90 anni rivelò di essere stata violentata quando era ancora una ragazzina. Quella volta, in California, Lollobrigida preferì tornarsene a casa e «sposare» il cinema della commedia all’italiana e del neorealismo nei ruoli della popolana che l’avrebbero consacrata fra le icone del ‘900.
Nel 1947 a Stresa si era piazzata terza a Miss Italia dopo Lucia Bosè e Gianna Maria Canale, precedendo fra le altre Silvana Mangano ed Eleonora Rossi Drago. L’atmosfera elettrica e sensuale del concorso riecheggia nel film Miss Italia di Duilio Coletti (1950), con Gina Lollobrigida e la Constance Dowling che avrebbe fatto perdere la testa a Cesare Pavese fino al suicidio. Nello stesso anno i riflessi dell’avanspettacolo ormai al tramonto si ritrovano in Vita da cani di Steno e Monicelli (1950), con Delia Scala e ancora la Lollo. Gina diventa una leggenda per il pubblico e persino per gli storici a futura memoria. Il britannico Christopher Duggan nel saggio La forza del destino. Storia d’Italia dal 1796 a oggi (Laterza 2008) postula una perdurante fragilità strutturale del Paese post-bellico, ma con un contrappeso. Quale? L’ineffabile capacità dell’Italia di essere vista dagli stranieri sotto il segno «di uno straordinario sviluppo» grazie al cinema di De Sica e Fellini, Lollobrigida e Loren.
La Lollo «incrocia» la Puglia grazie alla fugace esperienza produttiva dell’«A.C.T.A. Film» di Arrigo Atti che si esaurì nel 1950 con due lungometraggi: Il cielo è rosso di Giorgio Gora con Marina Berti, dal romanzo di Giuseppe Berto, e Alina dell’andriese Giorgio Pàstina con Amedeo Nazzari e una ventitreenne Gina, storia d’amore e contrabbando sulle Alpi al confine italo-francese (l’Albania allora era... lontana). Nel ‘51 la Lollo è al fianco del debuttante attore Giuliano Montaldo, fresco della esperienza di partigiano in Liguria e futuro regista, in Achtung! Banditi!di Carlo Lizzani: una protagonista magnifica, impossibile non restarne abbacinati.
Poi nel 1958 eccola sul set di La legge dell’americano Jules Dassin, girato a Carpino, nonché a Rodi Garganico, Ischitella, Peschici e San Menaio. Tratto dal romanzo La Loi di Roger Vailland, ambientato nel paese garganico e tradotto in italiano solo nel 2002 col titolo Padrone e sotto, il film prende corpo mentre l’obiettivo della grande fotografa e documentarista barese Cecilia Mangini rivela la rassegnazione della gente e i guizzi dei divi. Lo sguardo della Mangini si appunta sui braccianti reclutati come comparse a tu per tu con una fiera Gina Lollobrigida, e con Paolo Stoppa, Yves Montand, Marcello Mastroianni. Sul set c’era pure l’attrice greca Melina Mercouri, che Dassin avrebbe sposato in seconde nozze nel ‘66.
Un Sud «a metà strada fra la miseria e il sole» (Albert Camus), come in fondo l’immaginario paesino abruzzese di Sagliena ispirato al piccolo comune di Palena (provincia di Chieti) dov’era nato Ettore Maria Margadonna, sceneggiatore di Pane, amore e fantasia e del seguito Pane, amore e gelosia. Il terzo episodio della serie, invece, con la regia di Dino Risi nel 1955 segnerà l’inizio della rivalità con la Loren: Gina rifiuta la parte e Sophia la sostituisce... Apriti cielo!
Nata nel borgo medievale di Subiaco 4 luglio 1927, Luigia Lollobrigida è figlia di una famiglia abbastanza benestante che però si impoverisce con la guerra, durante la quale si trasferisce nella vicina Capitale ancora occupata dai tedeschi. A Roma si arrabatta vendendo caricature o comparendo nei fotoromanzi col nome di Diana Loris (intanto studia all’Accademia delle Belle arti). Nella Cinecittà allora utilizzata come dormitorio dei profughi di guerra conosce il medico sloveno Milko Skofic, sposato nel 1949, da cui ebbe un figlio e da cui divorziò nel 1971. Il resto è nel mito: amori folli e unioni contrastate, registi immensi da John Huston e Robert Siodmak, compagni di set come Burt Lancaster e Frank Sinatra, Anthony Quinn ed Errol Flynn. E poi la politica con la candidatura nel ‘99 alle Europee per i Democratici di Prodi e nel 2022, sempre a sinistra e di nuovo non coronata dal seggio, per Italia sovrana e popolare (un suo nipote alla lontana è il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, cognato di Giorgia Meloni).
Irriverente, ironica, vulcanica, bella persino da anziana, la Lollo resta un simbolo dell’Italia nel mondo, e scusate se è poco. Ciao Bersagliera.