Sabato 06 Settembre 2025 | 15:31

Vialli campione senza tempo: un vero lottatore, un grande esempio

 
Mimmo Mazza

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Mimmo Mazza

Campione senza tempo: un vero lottatore, un grande esempio

Allora «Dov’è Dio?» nella morte di Vialli, di Pelè, di tutti coloro i quali ci hanno fatto divertire, emozionare, crescere, diventare uomini? Dio, o l’aldilà, è con loro, nel gioco e nella sofferenza, nella gioia e nel dolore

Sabato 07 Gennaio 2023, 12:44

Aveva fatto grande la mitica Sampdoria di Boskov, portandola sul tetto d’Italia e d’Europa, ed era riuscito in una impresa che alla Juventus manca da ormai 26 lunghi anni, vincere la Uefa Champions League. Calciatore bandiera, un anno e mezzo fa Gianluca Vialli era diventato punto di riferimento di tutti gli italiani innamorati di calcio. La sua presenza discreta e sofferente (il tumore al pancreas che ieri ce lo ha portato via gli aveva nel tempo asciugato il fisico da corazziere che gli consentiva di fare a sportellate nell’area di rigore e tentare giocate spettacolari) dietro il commissario tecnico della nazionale Roberto Mancini, suo storico gemello del gol, durante gli Europei vinti a Wembley, era stata una vittoria nella vittoria, la dimostrazione - almeno in quel momento - che alla malattia si può guardare in faccia e assestarle anche un ceffone.

Ma quando poi muore una persona nota, quando viene strappato alla vita un campione, uno sportivo, si viene quasi folgorati dall’incredulità, come se la morte non sia una livella che rende tutti - proprio tutti - uguali al cospetto di Dio e della fine, di quello che c’è - se c’è - dopo.

«Dov’è Dio?» è la domanda, spesso rivolta come un grido, che drammaticamente affiora nella coscienza e sulle labbra di fronte alle catastrofi umane causate dalla guerra o da altri tragici avvenimenti come il decesso di un parente stretto o di una di persona nota come nel caso di Vialli. È una domanda che interpella direttamente Dio, esigendo da lui una giustificazione riguardo alla sua assenza, al suo mancato intervento nel mondo e nella storia. Le risposte a tale domanda sono varie e riflettono per lo più l’immagine di Dio che ognuno ha o pensa di avere; come pure riflettono la propria maturità (o immaturità) di fede, il proprio cammino di ricerca o anche la propria presunzione di avere pronta una risposta (spesso di comodo e strumentale) per ogni tragedia. Tuttavia, accade anche di non saper trovare una risposta adeguata e convincente, di rimanere muti e silenziosi, come è capitato agli amanti del calcio in questo trapasso tra il 2022 e il 2023 costellato dai lutti di Mihajlović, Pelè e Vialli.

Elie Wiesel, ebreo sopravvissuto ai campi di concentramento nazisti e premio Nobel per la pace nel 1986, nel suo «La notte», narra dell’impiccagione di due adulti e di un bambino, a cui dovettero assistere i detenuti. I due adulti gridarono: «Viva la libertà!» e morirono subito. Il bambino invece taceva: «Più di una mezz’ora restò così, a lottare fra la vita e la morte, agonizzando sotto i nostri occhi. E noi dovevamo guardarlo bene in faccia. […] Dietro di me udii il solito uomo domandare: - Dov’è dunque il tuo Dio? E io sentivo in me una voce che gli rispondeva: - Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca».

Allora «Dov’è Dio?» nella morte di Vialli, di Pelè, di tutti coloro i quali ci hanno fatto divertire, emozionare, crescere, diventare uomini? Dio, o l’aldilà, è con loro, nel gioco e nella sofferenza, nella gioia e nel dolore.

L’esibizione, volontaria e non, della malattia costituisce un rischio nel caso di una personalità mediaticamente sovraesposta. Bisogna fare attenzione a definire «eroe» chi lotta contro la malattia e inizialmente sembra anche superarla. Perché non tutti coloro che si ammalano hanno la stessa forza: c’è il rischio che qualcuno si senta inadeguato, e si «lasci andare» ritenendosi non all’altezza di affrontare una prova così grave. L’esempio del lottatore, insomma, è utile per incoraggiare chi è altrettanto lottatore, ma rischia potenzialmente di nuocere ai più fragili.

Un esempio che non vale per Vialli che è stato un lottatore ma non ha mai nascosto angosce, timori, fragilità, che davanti alla prospettiva della morte non si è mai tirato indietro, scolpendo pensieri che provocano i brividi a rileggerli ora: «Non so quando si spegnerà la luce che cosa ci sarà dall’altra parte. Certo ho paura di morire. Però - disse cinque anni fa quando il tumore si palesò - mi rendo anche conto che il concetto della morte serve per capire e apprezzare la vita».

Un esempio dentro e fuori dal campo. Un campione, un lottatore, soprattutto un uomo, con le sue forze e le sue debolezze. Grazie di tutto.

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