II Mare Nostrum può rappresentare un memorandum pro coalizioni in campo? L’estate dovrebbe suggerire più articolate risposte affermative che non siano soltanto quelle giustificate dall’uso vacanziero della risorsa marina. Anche per comprendere, senza enfasi propagandistica, la genesi dei drammatici esodi.
Il 16 maggio 1916 il diplomatico inglese Sir Mark Sykes e il suo collega francese François George Picot s’incontrano a Downing Street armati di mappe, righelli e matite. L’appuntamento deve restare segreto. Si tratta di stabilire le sfere d’influenza dei rispettivi Paesi nel Medio Oriente. Spartizione delle spoglie dell’impero ottomano. Incipit di una lunga serie di conferenze internazionali che si sarebbero parzialmente concluse con il Trattato di Sèvres nel 1920.
Il 13 aprile 1975 ad Ayn al-Rummana (quartiere di Beirut) le raffiche di mitra tra miliziani palestinesi e falangisti danno inizio a una guerra che sarebbe durata fino agli Accordi di Ta’if del 22 ottobre 1989.
Che tra quei righelli e quei kalashnikov ci sia un nesso forse è eccessivo pensarlo. Eppure, se guardiamo al grande disordine che ha attraversato i Balcani negli anni Novanta e il seguito di conflitti dalla Siria al Libano, al Kuwait, all’Iran, all’Iraq, alle guerre arabo-israeliane fino alle convulsioni delle primavere arabe, è evidente che tutto accade nei territori di quello che fu l’impero ottomano.
Se il passato per certi versi non passa, il futuro avanza molto velocemente.
Gli Accordi di Abramo sono in netta evoluzione. La competizione tra Emirati e Arabia Saudita è in pieno svolgimento. La partita energetica israeliana sui giacimenti di gas e sul loro sfruttamento è in corso. Nell’area presidiata da Turchia, Israele ed Egitto si affacciano come nuovi protagonisti Russia e Cina.
Il Libano è sull’orlo di essere una terra di nessuno nella quale può accadere di tutto. Intanto Hezbollah e l’Iran estendono la loro influenza in un Paese dove, fallito lo Stato, sono le organizzazioni confessionali a garantire un minimo di welfare. Va rilevato che il confessionalismo non ha mai portato bene a quelle latitudini.
Il Mediterraneo orientale è transito obbligato tra Mar della Cina, Oceano Indiano e Atlantico. Quindi area strategica di primaria importanza. A dimostrarlo la vicenda di Ever Given, nave portacontainer che, il 23 marzo 2021, una tempesta di vento ha intraversato nel canale di Suez, bloccando il transito di ben quattrocento unità nelle due direzioni. Basterebbe scorrere il manifesto di carico della Ever Given e di qualcuna delle navi bloccate per rendersi conto che più del 10% del traffico marittimo globale scorre dall’Estremo Oriente a Suez e da lì per lo Stretto di Sicilia e Gibilterra. Molti cargo approdano nei porti commerciali adriatici. La Puglia col suo corposo sistema di porti ne è interessata. La sua economia marittima è molto sensibile alle mutazioni degli scacchieri internazionali. Dovrebbe pertanto maturare ulteriore consapevolezza: innanzitutto culturale, quindi politica e gestionale a supporto dell’economia marittima dell’intero Mezzogiorno.
La centralità mediterranea è un’ovvietà. La delicatezza strategica dell’area orientale è appena meno ovvia. Infatti, l’arco costiero dai Dardanelli ad Alessandria ha un fantasmagorico retroterra che si può immaginare da Karachi a Kabul a Teheran. Nel mezzo, solo per fare un esempio, la grande faglia tra l’Islam sciita e sunnita.
The «Great Game» di ottocentesca memoria non è mai arrivato al game over. Ci sono state solo delle pause. Sono cambiati alcuni giocatori ma la partita è in corso. Al tavolo ci sono ancora i russi. Non più gli inglesi ma dalla Turchia ai Paesi del Golfo fino alla Cina il numero dei giocatori è aumentato.
A voler datare l’ingresso nel gioco degli Stati Uniti non c’è che l’imbarazzo della scelta ma il 1956 può essere un buon numero. Con la Crisi di Suez, escono dal gioco Francia e Gran Bretagna. Subentrano gli Usa che confermano la loro presenza con l’Operazione Nickel Grass, il massiccio rifornimento di armi e munizioni per Israele durante la Guerra del Kippur. Di lì in poi l’interesse americano per il Mediterraneo si è mantenuto stabile fino al 1989. Poi il declino.
L’Italia, non solo per le migrazioni, è al centro di questo mare che potrebbe diventare molto agitato. Infatti, in questa campagna elettorale non si parla d’altro.