Con gli occhi puntati alle prevedibili previsioni del tempo, che ci propinano con monotona sequenzialità i passaggi di cicloni e anticicloni, non rimpiangiamo solo la variabilità delle «belle stagioni» che furono, quelle improvvise mattine di sole e tramontana o quei pomeriggi grondanti di temporali. No, no, in quello che stiamo come perdendo e svaporando annoveriamo anche lo stesso tempo libero.
Numerosi fattori provano a depauperarlo, a cominciare proprio dall’atmosfera generale del paese e dalle condizioni economiche delle imprese e delle famiglie. Muoversi, organizzare una gita, un fine settimana costa, ora che l’inflazione travolge Italia e Europa, ora che il costo della vita sale del 6,9%, ai livelli di 36 anni fa, ora che case e bollette di elettricità e combustibili crescono del 26,4%, prodotti alimentari del 7,1%, hotel e ristoranti del 6%. Costruire un «ponte» diventa così un quasi privilegio che va incastrato e armonizzato nel ménage degli impegni e degli aumenti: dei carburanti, dei trasporti, degli impianti di condizionamento, visto che galoppiamo dall’inverno all’inferno di un solleone precoce.
Certo, ci sono provvidenze e ristori, propinati ai privati e alle valorose categorie produttive. Sono vicine le prossime scadenze e si va verso l’uscita dall’emergenza e l’abbandono delle ultime misure di contenimento dell’epidemia ancora in vigore. Ma non sappiamo se i nostri eroi reggeranno e terranno il polso.
Un po’ sentiamo che è andato svaporando il piacere stesso del tempo libero. Certo, non è morta la libertà di movimento, che è l’aria che respiriamo, Insieme alle attività ri-creative, a quei momenti che noi dedichiamo al piacere di essere. Tempo libero è vivere: leggere, scrivere, chiacchierare, ascoltare, passeggiare, giocare, praticare uno sport, un’amicizia, un hobby.
Sappiamo però che ci siamo in parte negato il tempo del non lavoro, perché soffocati da una plumbea atmosfera, dal mal di vivere dei Covid, post Convid, long Covid, delle pesti in previsione, dalla cupezza delle guerre che non finiscono, e che ci risospingono dentro noi stessi. Se non ce l’hanno sottratto, un po’ ce l’hanno vietato o ne hanno «raccomandato» un uso parco. Dobbiamo però uscire da questo limbo di incertezze, rimboccarci le maniche, innovare e inventare. Uno sprone non solo rivolto agli operatori del settore, specie a tutti coloro che ruotano e lavorano nei comparti che assicurano cultura e beni culturali: dal teatro alla musica, dallo spettacolo alla editoria, dal turismo ai viaggi, cioè tra le categorie più colpite dalle misure restrittive che furono. Dovremmo meditarlo anche noi fruitori e consumatori, perché l’appannamento delle attività ri-creative ci depaupera un po’ tutti. Il tempo libero, che le necessità di distanza sociale e princìpi di precauzione di fatto hanno circoscritto e costretto al lumicino, è stata una conquista della epopea del lavoro, che ai momenti liberati dalla fatica riserva quel sovrappiù da consumare, senza per questo allentare e perdere di vista la propria libertà. In principio venne il loisir, il piacere, come lo chiamano i francesi.
Il tempo libero è il «surplus proletario» che noi abbiamo in tutti questi anni goduto a piene mani, segno di una crescita e di un benessere economici e psicologici non indifferenti e della conquistata capacità di saper fruire di altri beni che non siano quelli necessari e indispensabili alla nostra sussistenza. Nel suo essere affluente il tempo libero è diventato un bene della democrazia, un prerequisito a nessuno negato. Insieme al movimento, padre di tutte le comunicazioni, che ne è un corollario essenziale.
In due anni però abbiamo bruciato il vantaggio di una civiltà che si era prima tutelata dai disastri e dalle rovine delle guerre con il welfare state e poi si era distesa sui consumi. L’uno e gli altri sembrano svaniti in una economia della sopravvivenza in cui invece fanno capolino la cattiva economia così come quella criminale, pronte a sottrarci quanto serve. Le più colpite sono, come al solito, le categorie deboli, i giovani e gli anziani. Ai primi stiamo negando l’adolescenza, di sospiri, incontri, sguardi. Ai secondi la terza età, di carezze, sorrisi, serenità. Da nerbo e solida alleanza di un paese, sembrano oggi catapultati a vite di scarto.