Dopo due anni di forzato stop tornano le processioni. Dal marzo 2020 la pandemia aveva bloccato anche le manifestazioni di fede: non solo furono cancellati riti e tradizioni, ma furono chiuse le chiese, vietati i matrimoni e i funerali. L’immagine simbolo resta la preghiera solitaria di papa Francesco in una livida piazza San Pietro, spettralmente deserta. «Da settimane sembra che sia scesa la sera – disse, pregando davanti al crocifisso di San Marcellino – presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa». Il Covid resta, anche se non fa più paura come prima, ma ci sono altri incubi che turbano i nostri giorni, come la guerra in Ucraina. Però almeno si può pregare in libertà, si può tornare a celebrare quelle tradizioni che sono collante e linfa delle comunità.
Già venerdì scorso ci sono state le prime processioni, dedicate alla Vergine Maria. Seguiranno le Via Crucis e le uscite dei Misteri. Fede, credenza, cultura, storia, superstizione si fondono in un groviglio inestricabile. Vengono da lontanissimo, stratificati nel corso dei secoli: «Nella pietà popolare - ha scritto papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium – si può cogliere la modalità in cui la fede ricevuta si è incarnata in una cultura e continua a trasmettersi. In alcuni momenti guardata con sfiducia, è stata oggetto di rivalutazione nei decenni posteriori al Concilio. È stato Paolo VI nella sua esortazione apostolica Evangelii nuntiandi a dare un impulso decisivo in tal senso. Egli vi spiega che la pietà popolare «manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere” e che “rende capaci di generosità e di sacrificio fino all’eroismo, quando si tratta di manifestare la fede”».
Già, i semplici e i poveri. Coloro che credono senza porsi tanti problemi, senza cercare prove, come se Dio fosse un virus nascosto in una provetta o una stella sparsa nella galassia. Sono i semplici e i poveri in prima fila nelle processioni, che rinnovano tradizioni familiari come la custodia dei Misteri, i gruppi di immagini sacre che rievocano episodi della passione e morte di Gesù. Motivo di orgoglio, quelle statue spesso sono opere anche di notevole valore artistico oltre che culturale.
Prima dell’avvento di giornali e televisione erano anche straordinari mezzi di comunicazione di massa che raccontavano i momenti salienti della passione e morte di Gesù. Il passaggio di padre in figlio di quelle immagini sacre significa anche la trasmissione della fede, come è nell’etimologia della parola tradizione che viene dal latino tradere, cioè affidare, trasmettere, consegnare.
Accanto alle famiglie il ruolo delle confraternite, oggi in vistoso declino. Fino ad alcuni decenni fa era quasi un obbligo che almeno un figlio – maschio o femmina non importa – entrasse a far parte di una confraternita. Poi, la progressiva scristianizzazione della società e lo spopolamento di tanti paesi ne hanno enormemente ridotto il numero e gli associati. Sopravvivono quasi soltanto nelle grandi città, dove spesso, attraverso le feste patronali, si sono legate a contesti più laici in cui prevalgono aspetti turistici ed enogastronomici.
Accanto alle confraternite sopravvivono anche gli Ordini dei penitenti e in questo senso Taranto è capofila in Puglia, con tradizioni che arrivano direttamente dal Medioevo, quando questa forma di pietà popolare si è consolidata e ha in qualche modo organizzato le forme di penitenza pubblica in auge nella Chiesa dei primi secoli per i peccati più gravi, come l’omicidio e l’adulterio. Oggi abbiamo elaborato un concetto di peccato che è all’opposto, tutto orientato sulla «privacy» del penitente. Anche i «perduni», che per quasi un’intera giornata paralizzano le strade di Taranto, mantengono un rigoroso oscuramento dell’identità.
Resta per intero, invece, il valore collettivo delle celebrazioni. Nelle tre religioni monoteiste la preghiera è concepita essenzialmente come atto di più fedeli. Non è vietato pregare da soli, ci mancherebbe, ma è insieme nelle chiese, nelle moschee e nelle sinagoghe che si focalizzano i momenti topici di ciascuna religione. E i riti pasquali, così come altre ricorrenze di fede valorizzano in pieno la dimensione pubblica e collettiva della fede. È questo un aspetto che consolida la comunità dei credenti, non a caso tutte le dittature cercano di vietare o quantomeno di ridurre fortemente le manifestazioni religiose. Al contrario, si cerca di rafforzare la «fede» nello Stato con analoghi riti laici, come parate militari e celebrazioni di ricorrenze storiche e politiche. Ma per quanto importanti, sono anniversari che non avranno mai la forza di perpetuarsi per millenni, perché mancano di trascendenza, perché se ne perde la memoria. Fino a trent’anni fa in tantissimi paesi e paesini si ricordavano i caduti della Prima guerra mondiale. Oggi queste celebrazioni, a poco più di un secolo dai fatti, sono più uniche che rare.
Bentornati allora riti pasquali, perché realizzano una delle grandi libertà dell’uomo e perché sono un segno di ripresa e di normalità, per quanto normale si possano definire in questi giorni.