Il 25 marzo del 1957, 65 anni fa, veniva firmato da 6 Paesi – tra i quali l’Italia - il Trattato di Roma: nasce qui il progetto Europeo. L’obiettivo fondamentale era quello di garantire la pace e la prosperità dopo gli orrori della Seconda guerra mondiale. Un episodio straordinario della nostra storia ma anche un «segnale» per il futuro considerando che firmarono il Trattato paesi coinvolti solo pochi anni prima su fronti opposti del conflitto armato. Noi italiani abbiamo accompagnato il progetto europeo dai suoi primi passi: l’Italia ha avuto un ruolo fondamentale nel forgiare l’Europa e l’Europa ha un ruolo vitale nella nostra vita di ogni giorno.
Eppure, nonostante questo matrimonio che dura da 65 anni, gli Italiani si fidano poco dell’Unione Europea. I dati recenti dell’Eurobarometro – un’indagine che misura il rapporto dei cittadini con le Istituzioni Europee – rivelano che solo austriaci, rumeni e greci sono più diffidenti e scettici di noi sui benefici della partecipazione all’UE. Il 14% dei nostri concittadini pensa che la nostra partecipazione all’UE sia portatrice di svantaggi. L’8% è contrario all’idea stessa di casa comune Europea; il doppio della media degli altri Paesi. Le nostre percezioni sull’importanza dell’Europa sono migliorate nel corso della pandemia ma, prevale un forte sentimento di ostilità in ampie parti della società; in particolare nel Mezzogiorno. Molte critiche piovono anche sulla gestione della crisi Ucraina; anche su questioni (come quelle puramente militari) che non sono di competenza UE.
Ma l’UE merita questa percezione? Staremmo davvero meglio al di fuori come molti cittadini credono? La risposta è complessa perché la nostra partecipazione allo spazio Europeo coinvolge molte dimensioni che impattano sulla nostra società e sul nostro benessere. Proviamo però a riflettere guardando a quanto successo a causa della pandemia, lo shock più grave che ha colpito il nostro Paese (e tutto il mondo) dal dopoguerra, e chiediamoci come avremmo affrontato questa sfida al di fuori dall’UE.
Cosa hanno fatto le Istituzioni Europee? La Banca Centrale Europea è stata la prima a muoversi per ridurre l’impatto negativo della pandemia con una serie di misure volte a garantire credito e liquidità a Stati, famiglie e imprese e a tenere basso il costo del denaro (i tassi di interesse).
Già a marzo 2020 viene avviato un imponente programma di supporto - noto come Pandemic Emergency Purchase Programme (PEPP) - pari a 750 miliardi di euro (poi esteso a 1850 miliardi di euro). Vengono subito prese una serie di misure per facilitare l’accesso al credito a famiglie e imprese riducendo le garanzie richieste e spingendo le banche a non chiudere i rubinetti del credito durante la crisi. L’Italia è stato indubbiamente il paese che più ha beneficiato di questi programmi dato il nostro enorme debito pubblico. Aspetti tecnici che interessano poco la vita di noi cittadini? Tutt’altro! Fuori dall’euro avremmo – come è successo a molti paesi – sperimentato un forte aumento del costo del denaro e una forte contrazione del credito a famiglie e imprese con gravi conseguenze su occupazione e benessere. Anche la risposta nazionale – i vari pacchetti di supporto a famiglie e imprese dei governi Conte e Draghi – non avrebbe potuto avere la stessa forza senza questa risposta comune Europea. Da un lato, l’intervento della Banca Centrale Europea e la maggiore flessibilità data dalla Commissione Europea sui vincoli di finanza pubblica hanno aumentano significativamente i margini di manovra riducendo il costo delle politiche nazionali. Dall’altro, per la prima volta, l’UE risponde con un meccanismo di solidarietà tra Stati alle sfide comuni. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) - su cui riponiamo molta fiducia, non solo per superare questa fase critica ma, per rilanciare la crescita del nostro paese - è il frutto di questa risposta: 210 su 300 miliardi di euro per l’Italia sono risorse del Next Generation EU. Non si tratta di risorse che arrivano come «manna dal cielo»; in parte saranno debiti da ripagare (a tassi più contenuti grazie alle misure europee comuni appena descritte) in parte saranno sovvenzionamenti (che pagheremo, anche se meno di quanto ottenuto, attraverso i nostri contributi al bilancio UE). Il punto è che fuori dall’UE non avremmo avuto la stessa capacità di reazione ad una crisi così importante.
Sono proprio i cittadini più deboli e i territori più deboli, come molte aree del Mezzogiorno, che hanno beneficiato di più di questa risposta comune Europea. Il Covid ha allargato le disuguaglianze economiche e sociali ma, se a una riduzione del PIL italiano di circa -9% non è corrisposta una catastrofe socio-economica lo dobbiamo alle politiche e alla rete di protezione che hanno prontamente sostenuto famiglie e imprese. Non tutto è andato bene. Le politiche hanno raggiunto molti (alcuni troppo) ma non tutti. Molte politiche nazionali ed Europee potevano essere disegnate meglio per modi e tempi. Il messaggio chiave è però piuttosto evidente: quando pensiamo alla nostra appartenenza ai confini dell’Unione Europea dobbiamo essere consapevoli che non siamo nel migliore dei mondi (c’è tanta strada ancora da percorrere nella costruzione di un’UE forte e solidale!) ma siamo in un mondo decisamente migliore rispetto a quello che percepiamo.
Il futuro fuori dall’Europa è grigio, basta vedere quello che sta gradualmente accadendo al Regno Unito con la Brexit.
Il nostro futuro migliore è nell’UE dove politiche e decisioni sempre più importanti per il nostro futuro vengono prese. Noi cittadini abbiamo la responsabilità di guardare in modo più attento a Bruxelles, di mandare la nostra classe dirigente più brillante a rappresentarci e di monitorare il loro operato. Un primo passo è quello di guardare sul sito del Parlamento Europeo i dettagli sulle attività svolte dai 18 parlamentari europei eletti al Sud; stimolandoli a fare meglio e a sentire l’onore e l’onere di rappresentare un’ampia e attenta comunità.