POTENZA - Quella colata di formaggio fuso sul pane croccante fa parte dei suoi ricordi d’infanzia. Sapori impressi nelle papille gustative al grido di «impiccalo, impiccalo». Ma anche nell’arte di arrangiarsi, quando bisognava far pendere il caciocavallo su una fonte di calore per «estrarne» la crema da spalmare: una volta un ramo d’albero, un’altra un bastoncino, un filo di rame, una stecca di fortuna. Gocce di memoria - per dirla alla Giorgia - raccolte a Pignola (Potenza), suo paese d’origine, e trasformate anni dopo in un mare di business. Saverio Mancino, imprenditore lucano trapiantato da anni a Roma, ha fatto del «caciocavallo impiccato» il suo marchio di fabbrica. Ma nel vero senso della parola. È il nome di un prodotto ideato e appena brevettato dalla sua azienda, Mylandinbox Srl.
Si tratta di un kit che costituisce il «patibolo» della provola. A casa, in giardino o nel ristorante. La struttura, con la sua geometria elegante e non «invasiva», è costituita da tutto ciò che serve per reggere il caciocavallo, appenderlo sulla griglia, al di sotto della quale arde il fuoco, e aspettare che si sciolga il formaggio senza rischiare di fare pasticci o scottarsi. Per poi raccoglierlo comodamente su una classica bruschetta e addentarla o servirla. «Ricordo che da piccolo - racconta Mancino - rimanevo incantato a guardare il formaggio sciogliersi fino a quando non cedeva alla lama affilata dell’anziano, che con facile destrezza lo spalmava su una fetta di pane appena abbrustolito. Vivendo a Roma mi è venuta un po’ di nostalgia e per questo, qualche anno fa, sono tornato a celebrare quest’antico rito in occasione di cene e feste con gli amici più cari. Sono stati loro, scherzando, a propormi di portare questa tradizione in tutto il mondo. Io li ho presi sul serio». Ha alzato il suo bicchiere di vino davanti alla brace e ha risposto: «Impicchiamolo!». Sì, ma come? Ecco l’idea di un kit, messo a punto dalla sua «esperienza sul campo», condividendone lo sviluppo imprenditoriale con i suoi soci Corrado De Luca, Federico Leproni, Stefano Corrente, Sergio Bernardi, Michela Mancino, Giulio Caselli e Michele Franzese. «Il sistema - spiega Mancino - è tarato per essere utilizzato anche al chiuso perché è antifumo. È ideale per ogni location, pure per un ristorante elegante e di classe, offrendo l’opportunità di valorizzare un’antica tradizione lucana e del Sud Italia ma con un approccio innovativo».
Non è stato semplice tradurre l’idea in un manufatto efficace, maneggevole e facilmente trasportabile: «Non riuscivamo - conferma Mancino - a trovare un produttore che lo realizzasse. Pensavamo in acciaio o in vetroresina, ma alla fine abbiamo trovato la soluzione nella nostra terra, in Basilicata. Ci siamo rivolti alla falegnameria Salandra di Acerenza che ha plasmato il «patibolo» del caciocavallo completamente in legno. Funzionale e anche carino da vedere». Da qualche mese fa bella mostra di sé - e delizia i palati dei commensali - in diversi ristoranti tra Roma, Milano, Firenze, Stoccolma e Monaco di Baviera. Un successo. Se è vero che l’appetito vien mangiando, per Mancino si prospettano altri sviluppi legati al caciocavallo: «Puntiamo al mercato internazionale - dice -. Intanto stiamo lavorando per dare vita al primo bistrot dedicato al prodotto e pensiamo a una ricetta gourmet con formaggio filante, uovo fritto all’olio di peperone crusco». Per un’esplosione di lucanità da esportare.