C’era una volta un soldato. Tornato dalla guerra, non sentiva più né gioia né dolore. Fu consultata un’anziana donna, la più sapiente del villaggio, che si mise ad armeggiare con strani attrezzi. Gli svitò la testa, poi tirò fuori il cuore. Mise la testa al posto del cuore e il cuore al posto della testa. Poco tempo dopo, ridispose tutto in ordine. Il soldato scoppiò in un pianto di gioia e abbracciò la vecchia signora: tutto aveva ripreso a funzionare. Un giorno, Rosa, la protagonista di Una piuma nascosta (Rizzoli, pp. 224, euro 18), trova un libro di Fiabe dal mondo a casa del nonno e si imbatte in questo racconto che rivela molto della sua stessa vicenda. L’ultimo romanzo di Lisa Ginzburg, appena uscito, non è solo una storia d’amore, quella tra Rosa e Tan, ma anche un romanzo di formazione al quadrato, in cui i due eroi sono colti nell’istante in cui si «finisce di crescere», quel momento in cui si cerca il posto per il cuore e quello per la testa. L’impresa non è facile: eroi in divenire, Rosa e Tan non hanno l’esperienza della donna del villaggio.
Rosa ha 11 anni, vive alla Quercetana, una villa in Toscana di cui i genitori sono custodi. È una brava bambina, obbediente, ordinata, metodica. Ogni tanto, la domenica, va con la famiglia dai Manera, proprietari della villa. Rosa è affascinata dalla moglie e talvolta la osserva in silenzio, senza farsi vedere: Enrica è alta, bella come una regina, incredibilmente sola, come prigioniera di un «sortilegio triste». L’arrivo del figlio adottivo dei Manera, un ragazzino moldavo, interrompe quella solitudine. Tan è coetaneo di Rosa, ma i suoi occhi blu scuro hanno un’espressione matura. È scontroso, oppositivo, violento. Impara presto l’italiano, ma lo parla al contrario: è il suo modo di reagire allo strappo e di appropriarsi della nuova vita. Rosa è l’unica che riesce a comprendere quella lingua. Nasce un’amicizia sempre più intensa, Rosa e Tan passano pomeriggi interi nella stanza del ragazzo, sul grande tappeto kilim ad arabeschi verdi e blu. A poco a poco, la mente comincia a scalpitare, Rosa prende a spazzolarsi i capelli con cura prima di incontrarlo. Eppure, in quell’intrico di sentimenti, il desiderio più dolce non è tanto quello di essere la sua fidanzata, bensì sua sorella, di essere, insieme a lui, figlia dell’adorata Enrica. «Non sei mica mia sorella!», le dice Tan quando vuole ferirla. Il desiderio conscio, quello per Tan, svela il desiderio inconscio, quello del riscatto sociale.
Ritroveremo Rosa qualche anno dopo, giovane chirurga affermata. Porta le tracce della bambina che è stata: costante, determinata, «una brava lavoratrice», come le aveva detto il padre quando era piccola. La propensione a guardare senza essere vista e la ricerca del silenzio le fanno amare lo snorkeling. Osservare i pesci – Plutarco diceva che gli animali marini hanno intelletto, tendenze alla socialità e sono capaci di amore reciproco – è un tirocinio alla vita che per Rosa assume persino le forme di un «apprendistato della felicità». Un apprendistato in cui, però, testa e cuore non sono ancora al posto giusto: Rosa ha un fidanzato che non ama e ama troppo il suo lavoro. È tormentata da quelle che Proust chiamava «intermittenze del cuore», sussulti della mente che la riconducono a un tempo rimasto nell’ombra. D’un tratto, tuttavia, volteggiando come una piuma, il passato torna per davvero, inaspettato e travolgente.
Ginzburg mette in scena i moti profondi, le contraddizioni, le incertezze che accompagnano Rosa e Tan nell’iniziazione alla vita. Si impone come una voce fuori dal coro in un momento in cui la letteratura è schiacciata dal racconto frenetico, dalle pure azioni dei protagonisti, da quella che Gianluigi Simonetti chiama «pura narratività». Lo fa con grazia, con uno stile limpido che ammette lo sperimentalismo, con una lingua che racconta momenti feroci pur restando lieve, come una piuma.