CONVERSANO - L’uomo più potente al mondo non è nulla senza l’amore, che spinge a incontrare l’altro, a comprenderlo, a tendergli la mano nei momenti difficili perché non si senta solo di fronte alle piccole, grandi sfide dell’esistenza. «Viviamo in una società individualista che rifiuta l’incontro e il dialogo», sostiene monsignor Vincenzo Paglia, nominato da papa Francesco presidente della Pontificia Accademia per la vita, ospite, stasera alle 18.30, a Conversano, nella chiesa di San Benedetto, per il «Lectorinfabula», in dialogo con Marco Politi. Tema prescelto: «La misura del mondo: noi e gli altri».
Monsignor Paglia, quale, secondo lei, l’ingrediente per un mondo più giusto?
«Penso a un’alleanza, una grande unione basata sulla solidarietà e aperta alla pluralità di pensiero, per invertire la tendenza, disastrosa, verso cui siamo proiettati. Bisogna sempre ricordarsi che, da soli, non si può andare da nessuna parte e che c’è bisogno di essere uniti».
Qual è il ruolo delle famiglie nella società del presente?
«Le rispondo con una frase di Cicerone: Familia est principium urbis et quasi seminarium rei pubblicae. La famiglia fonda la città ed è anche la scuola della cittadinanza. È racchiusa la funzione della famiglia, che non è soltanto luogo dell’amore romantico, ma luogo generativo dello stare insieme, del convivere tra diversi, del risparmio per il domani, della solidarietà vicendevole. In questo senso è ovvio che la famiglia largamente intesa diventi cardine della società, fino a dire che, se questa va male, è perché la famiglia va male».
Sta, quindi, sostenendo che il modello della famiglia sia in crisi?
«Intendiamoci, la famiglia ha anche una sua storia e delle sue mutazioni: non è mai stata come oggi la conosciamo, ossia “nucleare”. Questo schema che noi gli diamo ha i suoi pregi e difetti o, comunque, deve via via assumere forme storiche che la rendano creatrice di legami, non solo di sangue, ma di amicizia, di solidarietà, di responsabilità. Siamo, insomma, chiamati a reinventare legami stabili».
Lei cosa risponde quando qualcuno le dice che nessun sentimento è per sempre?
«Bauman l’aveva detto: la nostra è una società liquida, egocentrica. E l’io, quando è assoluto, ossia sciolto da ogni legame, impazzisce. Dobbiamo riscoprire il “per sempre” come forza per costruire società solide».
Ci sono stati altri momenti di crisi umana nella storia?
«Certo, il problema di oggi, però, è di altra natura: per la prima volta l’uomo può distruggere sé stesso e il creato. Con la bomba atomica, i disastri ambientali e le possibili manipolazioni delle nuove tecnologie emergenti e convergenti».
È cambiato anche il modo di fare la guerra.
«Se pensiamo al passato, la guerra la facevano i soldati e morivano soprattutto loro, oggi, al contrario, muoiono soprattutto i civili. A Hiroshima e Nagasaki sono morti civili, non militari. Ecco perché oggi la guerra è ancora più drammatica e, sempre, ingiusta. Si devono trovare altre modalità per risolvere i conflitti e le ingiustizie che, comunque, ci sono».
Il racconto biblico dell’assassino di Abele rappresenta la prima guerra della storia.
«La guerra è sempre fratricida, perché la fraternità non è scontata: va scelta, deve diventare politica, economica, militare, umana, sociale. E’ questa la grande sfida di oggi e, quando papa Francesco tuona contro ogni forma di guerra, è un grido di fraternità e, se non ci fosse, rischieremmo di non vedere un orizzonte diverso dai conflitti».
Ci potrebbe essere un mondo senza guerre?
«Sperare e operare per un mondo senza guerre è un dovere. A me farebbe terrore rassegnarsi al fatto che le guerre siano un determinismo della storia umana».