BARI - «Le luci saettavano sul volto pechinese della cassiera/ che fumava al mentolo, altri starnutivano senza malizia […]». Così Paolo Conte in “Boogie”, una delle sue canzoni più bislacche, uno dei suoi testi più eleganti. Può uno starnuto, un gesto apparentemente inconsulto, essere schermo e vettore al contempo di emozioni nascoste? A chi domandare conferme o smentite su questo gioco d’azzardo psico-fisionomico? De Piante Editore, in un eccellente lavoro di recupero, ha deciso di regalarci una chicca che soddisfa il precedente quesito: “I misteri del volto. Tra psicologia e fisionomia” (pp. 104, euro 16) di Edmondo De Amicis. Sì, avete letto bene. Il volumetto raccoglie due scritti della penna ligure-piemontese, ad un tempo blasonata e messa alla berlina per il suo “Cuore”, del tutto inopinati. L’interesse dell’intellettuale onegliano, per tutti gli anni ’70 dell’800, già si era copiosamente riversato sulla tematica, oltremodo cara a tutti gli scrittori (specie se si agisce nel tardo positivismo, temporalmente a braccetto con l’occhio «microscopico» zoliano), del ritratto.
Trasporto fisionomico canalizzato ed imprigionato in due libricini zeppi di curiosità: “Ricordi di Parigi” (Treves, 1879) e “Ritratti letterari” (Treves, 1881). Questi indugiavano con pupilla tranchant, su di una sagomatura verbale millimetrica delle fattezze, fisiche e psico-biografiche, di alcuni dei più famosi prosatori di Francia dell’epoca. Bizzarra è, in particolare, la descrizione che Edmondo fa di Hugo, di cui prima afferma: «La prima impressione che mi fece fu d’un uomo abitualmente triste», poi, brusco capovolgimento: mentre «un tale gli raccontava un aneddoto comico […], egli dà una risata così fresca e così allegra, […] che non si riconosce più l’uomo di prima, […] come se gli fosse caduta dal viso una maschera, e si vedesse per la prima volta il vero Hugo». Questo sguardo da cecchino infallibile, attraverso il quale De Amicis carpisce e mette in luce l’autocontrollo razionale, che ci induce al mostrarci in una maniera ben precisa nella tenaglia del palcoscenico sociale, sarà altresì alla base dei due articoli “Osservazioni psicologiche sulle espressioni del viso” (Gazzetta Letteraria, 1881) e “La faccia” (L’illustrazione Italiana, 1907), materia del libro in analisi. Lo studioso qui, spogliatosi dei precedenti panni di osservatore letterario e lasciate al Lombroso le vesti di fisiognomico, si lancia in una – a tratti diremmo machiavellica, oltremisura disillusa – schedatura di quei «movimenti del viso, involontarii e leggerissimi, che rivelano, nostro malgrado, i pensieri e i sentimenti che vorremmo tener più celati».
Un bestiario, in una chicane fra fisionomia e psicologia indovinata, di velamenti malriusciti: «Qualche volta, anzi mille volte, è possibile nascondere l’animo atteggiando il viso forzatamente; ma dopo un lungo sforzo, dopo varii sforzi, un lampo negli occhi, il sussulto improvviso d’un muscolo, tradisce il pensiero, e mette tutt’ad un tratto in piena luce i sentimenti dissimulati per lungo tempo».
Un carosello di camuffamenti dovuti, ghigni maligni a malapena percettibili sotto la cera, ad esempio, della compunzione e volti bronzei, fortunatissimi; a sostegno della tesi secondo cui: «Noi giudichiamo la gente dalla conversazione muta». Specialmente il primo dei due scritti proposti si presenta come un breviario di decifrazione della verità attraverso l’osservazione dei vulnus, delle falle espressive del volto, con l’ausilio di esempi dalla storia della letteratura. Così Balzac ad un giovane postulante opinioni su di una sua poesia: «Leggila a un collega […] e terminato l’ultimo verso, guardalo in viso: se tu vedi che il suo muscolo frontale si distende leggermente, […] e i suoi occhi si lumeggiano di placida benevolenza, – rimetti la poesia nel cassetto: è segno che è cattiva […]». Ne “La faccia” lo stupore del lettore si fa ancor più grande. È fatto buio nel cuore dell’autore ed un pessimismo misantropico rilega ogni sua elucubrazione. Che scacco ci ha fatto quest’Edmondo! Un raffinato rivelatore del giuoco delle parti.