ANDRIA - Ha festeggiato la sua prima vittoria in carriera da allenatore professionista. In realtà si è trattato di una festa a metà, perché il 47enne tecnico senegalese, Doudou Diaw, era squalificato nel match che ha visto l’Andria superare il Monterosi. Quattro punti in tre partite nella gestione Doudou, una scossa importante per la Fidelis, dopo un inizio di stagione disastroso, che ha portato all’esonero del tecnico Cudini e del diesse Federico.
Che sensazioni ha provato alla sua prima vittoria tra i professionisti da allenatore?
«Situazione piacevole perché era una vittoria che ci serviva. L’ho vissuta sugli spalti perché ero squalificato ed è stata una grande sofferenza. Avrei preferito essere giù in campo con i ragazzi».
La sua è un’esperienza già da primato perché è primo allenatore africano tra i professionisti. È per lei un peso maggiore da sopportare?
«Nessun peso, è una cosa emozionante che ho sempre desiderato. Senza sapere di questo primato, perché non do molta importanza alle statistiche, quindi resto sempre sereno».
Quali sono le sue ambizioni?
«Sono nel limbo del calcio professionistico. La strada è lunga e mi auguro di avere l’opportunità di andare fino in fondo».
Cosa significa fino in fondo?
«Il mio sogno è allenare in Serie A, ma adesso ho solo un pensiero, quello di salvare l’Andria. La mia mission è questa, per le ambizioni personali c’è tempo».
È arrivato Aldo Papagni per la formazione Primavera, un chiaro segnale che la società ha riposto in lei la fiducia.
«Mister Papagni mi ha chiamato e abbiamo parlato, è stato molto carino. Io ho sempre pensato che nella vita “male non fare, paura non avere”. Sono tranquillo e sereno e ringrazio chi ha creduto in me, in primis il dirigente Fabio Sperduti».
La salvezza e il buon gioco possono coesistere?
«Una squadra deve sempre giocare a calcio, perché quando non si gioca bene non si sa dove aggrapparsi per risolvere i problemi. Bisogna essere furbi, perché ci sono dei momenti in cui c’è bisogno di punti e si bada al sodo. Ma un’identità la devi avere».
La prima cosa che ha fatto quando si è insediato?
«Ho lavorato sulla fase difensiva nelle prime due settimane, perché per costruire un palazzo ci vogliono delle fondamenta forti. Quindi volevo subito portare le mie idee cominciando dalla fase difensiva».
Sta dando spazio a tutti i calciatori della rosa.
«Vengo dal settore giovanile, dove tutti hanno il diritto di giocare. Non posso valutare un giocatore se non lo metto in campo. E questo l’ho detto ai ragazzi».
Dove bisogna migliorare?
«Nei dettagli. Anche contro il Monterosi, due disattenzioni ci potevano costare care per la vittoria. Quindi serve anche più attenzione».
Cosa manca, in vista del mercato di riparazione?
«Secondo me mancano tre pedine, e l’ho comunicato alla società. Non dico i ruoli, perché non sarebbe rispettoso per i ragazzi che ho al momento in rosa e che stanno dando l’anima».
Ora serve continuità col Giugliano, squadra rivelazione.
«Ogni partita sarà una guerra. Finora la squadra non ha mai demeritato e darà battaglia anche contro i campani».
Ai Mondiali per chi fa il tifo?
«Senegal, la mia nazione. Anche se le squadre africane non sono ancora pronte per vincere i mondiali. A parte il cuore, penso che le più attrezzate siano Brasile e Argentina e la solita sorpresa».