Il Mondiale è uno stato d’animo, soprattutto. Un Mondiale unisce, rafforza, trascina. Al Mondiale ci si innamora, si costruiscono pezzi di storia. Il Mondiale, spesso, è l’inizio di qualcosa che, magari, ti porti appresso per tutta la vita. Ci sono ragazzi che sono cresciuti con la luce negli occhi per quel gol di Bettega all’Argentina, in una torrida notte del 1978. E altri che hanno visto nel mitico Pablito l’eroe di tutti.
Uno stato d’animo, già. Ma ve l’immaginate quello dei ragazzi nati dal 2010, anno più anno meno, che non hanno ancora avvertito sulla pelle il fascino e le emozioni che, appunto, solo un campionato del mondo sa regalarti? Per loro non c’è stata, maledettamente, una prima volta. Due volte senza l’Italia, roba da mettersi le mani nei capelli al solo pensiero. E chi glielo spiega a questi giovani cos’è un Mondiale? Può sembrare facile, ma è esattamente il contrario. Certe sensazioni vanno vissute, le parole possono fino a un certo punto. Pensate che chi si è goduto l’Italia di Bearzot, quella che nel 1982 s’è «bevuta» Brasile, Argentina e Germania, sia in grado di spiegare, magari a un figlio, il terremoto emotivo di quelle notti spagnole? Sarebbe un’illusione. Un modo, forse, per non accrescere il rammarico di ciò che sarebbe potuto essere e che, invece, non è stato.
Un salto generazionale che sposta l’accento sulla questione emotiva. L’Italia due volte fuori dai Mondiali non è solo un disastro economico e, anche, di immagine. È un vuoto che, oggi, si fa fatica a definire colmabile. Ed è tremendo, davvero. Dal 2006, l’anno del prodigio di quell’Italia sbattuta sulle prime pagine di tutti i quotidiani del mondo (Calciopoli), è stato un crescendo di errori e presunzione. Nulla arriva mai per caso, figurarsi questo doppio schiaffo che sa tanto di fallimento del sistema.
C’è il rischio, concreto, che i ragazzini italiano possano metterci un attimo a invaghirsi di un eroe straniero. Loro non possono aspettare un nuovo Pablito. Magari non ci sarebbe stato comunque, vista l’inquietante mediocrità di questo momento storico in Italia. Ma al Mondiale capita anche di farsi rapire l’anima dai calciatori, diciamo, normali. È successo a Fabio Grosso, eroe solo in azzurro ma ancora oggi un’icona per chi si nutre di ricordi, quelli belli. Ridiamo questa possibilità ai tifosi di domani. Raccontare non basta. E leggere rischia di diventare una tortura. Inaccettabile.