Sabato 06 Settembre 2025 | 15:30

Brindisi e il business della coca: una lezione a suon di schiaffi per il «tradimento»

 
Stefania De Cristofaro

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Stefania De Cristofaro

Tentò di uccidere la ex a Ginosa si suicida nel carcere di Taranto

Il carcere di Taranto

Le rivelazione dell’aspirante pentito Cesare Sorio, con i retroscena nei rapporti interni al gruppo. L'interrogatorio nel carcere di Taranto

Martedì 06 Febbraio 2024, 14:44

14:45

«Avevo soggezione di Lucio Annis e timore delle sue reazioni perché era persona di spessore criminale. Imponeva i canali di rifornimento della droga e il prezzo a cui noi dovevano acquistarlo e se ci fossimo rivolti ad altri, come accaduto a me, lui assieme alla persone di cui si circondava, interveniva con violenza». Vendetta da consumare subito, a suon di schiaffi, per lavare l’onta del tradimento conseguente alla decisione di cambiare fornitore di cocaina. Il retroscena nei rapporti interni al gruppo che si sarebbe specializzato nel traffico di droga e nella vendita al minuto, è stata riferita dal’aspirante pentito Cesare Sorio, 37 anni, di San Pietro Vernotico, in occasione di uno degli interrogatori in carcere con la pm della Dda di Lecce, Carmen Ruggiero, parlando in prima persona.

Sorio, infatti, ha raccontato un episodio di cui è stato protagonista: «Lucio Annis mi schiaffeggiò contestandomi di essermi rifornito da Giampiero Alula», ha raccontato dopo aver precisato di aver iniziato a lavorare per Annis nel 2014. «Acquistavo da Annis la cocaina a 50 euro al grammo e quello che riuscivo a guadagnare dalla vendita rimaneva a me». Il rapporto si sarebbe incrinato perché «per il tramite di Luca Drazza e Giovanni Caputo, acquistai della cocaina da Alula, con il quale i fratelli Annis sono sempre stati in conflitto poiché lui tendeva a gestire in autonomia il traffico di stupefacenti, non sottomettendosi a loro». «Lucio Annis, unitamente a Feliciano Cosma e a Riccardo Candido, mi convocò presso un bar e da lì ci spostammo in una piazzetta dove Annis mi schiaffeggiò contestandomi di essermi rifornito da Alula e pretendendo che io consegnassi a lui il denaro ricavato vendita della droga che avrei dovuto consegnare ad Alula», si legge nel verbale dell’interrogatorio. Secondo Sorio, in quella occasione Annis gli avrebbe detto che «se poi Alula avesse voluto i soldi, sarebbe dovuto andare da lui». A quel punto «mi impose di prendermi una fornitura di 100 grammi di cocaina, ma rifiutai». Il giorno dopo, «incontrai al bar Lucio Annis che arrivò con Andrea Di Gioia, il quale rimase fuori, e gli consegnai la somma di 2mila euro che avrei dovuto dare ad Alula». Sorio ha precisato di «non aver mai avuto a che fare con i fratelli Di Gioia, ma so che gestivano un fiorente traffico di stupefacenti sulle piazze di Tuturano e della provincia di Brindisi e sono legati a Lucio Annis poiché Andrea era compare di matrimonio». I fratelli Di Gioia sono stati arrestati un anno fa e hanno optato per il processo con rito abbreviato, a conclusione dell’inchiesta della Dda salentina, coordinata dalla pm Giovanna Cannalire, con cui è stato ricostruito il traffico di cocaina dall’Albania anche sulla base delle dichiarazioni di una serie di collaboratori di giustizia, l’ultimo dei quali è Andrea Romano di Brindisi.

Sorio ha proseguito il racconto: «Quella sera andai a casa di Annis e gli ribadii che non intendevo più lavorare per lui, Annis mi disse allora che se non lavoravo per lui, non dovevo lavorare per nessuno». Nel «2015 incontrai al bar Gimmi Annis a cui chiesi di lavorare con lui» sempre nella vendita di droga «e gli raccontai anche quello che avvenuto con il fratello Lucio». «Gimmi mi rassicurò dicendomi che se la sarebbe vista con lui il fratello e quindi ho iniziato a spacciare per conto di Gimmi Annis». A questo punto punto il dichiarante ha fornito i nomi di alcuni fornitori di Sandonaci, coperti da omissis.

È, invece, leggibile il nome di chi – secondo Sorio - sarebbe stato il capo di Lucio Annis: quest’ultimo sarebbe stato il «capozona di San Pietro Vernotico per conto di Vitale detto ‘lu neru’ di Mesagne a cui era affiliato». Il riferimento è ad Antonio Vitale, ritenuto la vecchia guardia della Sacra corona unita, chiamato anche il «marocchino».

«Ho appreso queste cose lavorando per lui come pusher anche se non aveva grande confidenza perché ero ancora alla mia prima esperienza criminale».

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