BRINDISI - Il rapporto “Abbatti l’abuso”, pubblicato in settimana da Legambiente, ha messo a nudo tutta una serie di pecche che interessano il territorio di Brindisi e, soprattutto, l’incapacità delle istituzioni locali di tradurre in realtà la demolizione di opere abusive. Dall’indagine elaborata dall’associazione ambientalista, infatti, emerge che, tra i comuni capoluogo di cinque regioni (quelle considerate più a rischio), Lazio, Campania, Sicilia, Calabria e Puglia, quello di Brindisi è tra i peggiori nel rapporto tra ordinanze di abbattimento emesse ed effettiva demolizione dell’opera abusiva, che avviene solo nello 0,2% dei casi (solo Benevento fa peggio di noi in un campione di ben 485 comuni). Nel dettaglio, soltanto una delle 409 ordinanze emesse ha avuto un seguito con la demolizione dell’opera abusiva.
Va un po’ meglio se l’indagine si estende alla provincia, quanto meno in relazione ai soli cinque comuni che hanno fornito risposte a Legambiente, ovvero Cellino San Marco, Cisternino, Oria, San Michele Salentino e San Pietro Vernotico: complessivamente (manca il dato di ogni singolo territorio) delle 720 ordinanze emesse tra il 2004 e il 2022, quelle che hanno poi avuto esecuzione sono state solo 62, ovvero l’8,6% del dato totale.
Brindisi e provincia, inoltre, sono nei bassifondi della graduatoria anche in relazione al numero di immobili abusivi trascritti al patrimonio immobiliare del Comune, nessuno, e in riferimento al numero di pratiche trasmesse al Prefetto (appena una).
L’abusivismo, insomma, viene combattuto solo sulla carta e, di conseguenza, restano numerose le opere ridotte a rudere che deturpano l’ambiente, soprattutto nelle vicinanze del mare.
Ma quali i motivi di questa riluttanza a definire la pratica con l’intervento delle ruspe? «Due secondo me le ragioni principali - dice al riguardo il responsabile provinciale di Legambiente Brindisi Doretto Marinazzo -: i costi esorbitanti (visto che nella maggior parte dei casi, si agisce in danno in ragione del fatto che il privato non provvede da sè) e il rimpallo di responsabilità tra enti, ovvero Regione, Provincia e Comune, in riferimento alla competenza ad agire. La situazione di stallo deriva poi dal fatto che la maggior parte delle opere abusive sono dislocate in area demaniale, alcune di esse anche sulla falesia che, come è noto, sul litorale brindisino è tutt’altro che stabile. La domanda che però mi pongo è: perchè questa disparità di trattamento tra il disinteresse nei confronti di veri e propri agglomerati di villette e opere abusive in generale e il... troppo interesse rispetto al complesso di Acque Chiare?».
Le soluzioni per invertire la tendenza ci sarebbero...: «Innanzitutto - conclude Marinazzo - andrebbe coinvolto maggiormente il Prefetto, il che avviene raramente, poi occorrerebbe l’emersione degli immobili non accatastati e altre misure relative alle pratiche di condono. La verità è che le norme esistono, ma poi si procede... all’italiana».