La ferocia dell’amore e il coraggio doloroso di una donna per conquistare la propria identità raccontato da Erica Mou. La sofisticata cantautrice nata nella città dei sospiri approda in libreria con «Nel mare c’è la sete» (Fandango). Il tema vero della storia è la vita, quella perduta, vissuta, sbagliata, fatale. Quella da cancellare, quella da rifarsi, quella che deve venire, quella sospesa, quella da scegliere. Scegliere la vita.
E la Mou la vita la sa vivere, respirare, piangere, sorridere, urlare, cullare, rinnegare, scacciare, sputare, cantare, liberare. Immagino che nella libreria di Erica Mou ci sia “Lettere a un bambino mai nato” di Oriana Fallaci e “Un corpo felice” di Dacia Maraini. Ma Erica va “Oltre” le sue “maestre” con questa storia delicata e violenta, rivoluzionaria e partigiana che non concede santità e libera prigioni. C’è solo il buio e il mare a reggere il coraggio e il peso dell’essere. “Una volta ho letto che siamo programmati per sentire un solo dolore alla volta - scrive Erica - tatuaggi non ne ho, che tanto a quello ci pensa la vita per conto proprio”. Conoscevamo il suo talento musicale apprezzandone soprattutto la liricità cannibale ed orfica dei testi e questo romanzo non è altro che la maturità del suo lessico poetico che non ha paura di mostrare le lacerazioni cucite ad occhi chiusi senza la paura di sbagliare vena. «Nel mare c’è la sete» custodisce tutto il sillabario di Erica, l’ironia, la dolcezza e la ferocia, il riso e la commozione, il coraggio e la forza, la dignità e l’orgoglio, lo smarrimento, la fuga, l’onestà dello specchio che sa spogliarci dinanzi alla cruda verità. “Ciò che lasci passare, sconfigge”.
Un libro di quelli che entrando in libreria ti cadono addosso sconquassando ogni certezza e donando una nuova consapevolezza. Una storia che fortifica le donne e ammutolisce gli uomini. Una storia che è anche una seduta analitica dov’è possibile sdraiarsi su un letto acquatico dal quale guardare fra le onde i propri demoni, paure, sconfitte, trovando la forza di raggiungere una serenità e cancellando quel confine di un orizzonte che spesso confonde il cielo con il mare. Accettarsi con tutti i limiti trovando il coraggio delle decisioni più sofferte, scegliendo la strada più difficile. Erica si fa parola. Un libro da leggere ad alta voce, una lezione di stonatura per poter dirigere un’orchestra muta di fantasmi nascosti messi a tacere urlando. “L’indifferenza è forse la paura degli altri”. La caduta e la resa, la resistenza ad un cielo di carta, di memoria pirandelliana, facile da strappare ma resistente alla paura di guardare cosa c’è al di là. La verità nuda. Maria ha tutti quei puntini fuori linea che ricalcano anche le nostre vite. Erica sa raccontare anche le nevrosi, le isterie, le malattie immaginarie che ci addolorano l’esistenza. “Dovrei fare più spesso cose che non servono. Servire è un verbo che toglie la libertà”.
L’elaborazione di un lutto, il peso del rimorso, la fuga dalla famiglia, la scommessa dell’amore, la fantasia di inventarsi, l’esoterismo celato da una scatola di calma apparente e di leggerezze per ritagliarsi uno scampolo di normalità. Ma i conti bisogna farli e si è soli quando arriva la resa. E non c’è spazio per la nostalgia: “Penso alle stagioni, alle maree, alla precessione degli equinozi, alla luna piena, al letargo, ai fiori. E poi ci siamo noi, con la nostra vita scandita da un susseguirsi di pasti. E basta”. Dietro questa storia non c’è solo un processo creativo, ci sono vite sfiorate, lette, forse vissute, scampate, evitate, sperate, sottolineate. Storie amate come pagine strappate. Lacrime che hanno sporcato e rossetti che hanno baciato. Parole raccontate che fanno della scrittura di Mou una sana e robusta costituzione poetica capace di sconfinare in un neorealismo pasoliniano in bianco e nero che controluce diventa azzurro mare.