GRAVINA - Giuseppe Lacarpia avrebbe pianificato l’omicidio della moglie e lo avrebbe portato a termine agendo con crudeltà. Rincara la dose la gip del Tribunale di Bari Valeria Isabella Valenzi nel provvedimento cautelare nei confronti del 65enne di Gravina in Puglia, accusato dell’omicidio volontario premeditato della moglie 60enne, Maria Arcangela Turturo.
Secondo la giudice, il delitto è stato caratterizzato da uno «spiccato accanimento su una vittima (prima ustionata, poi soffocata ed evidentemente anche percossa, tenuto conto del complesso delle fratture riscontrate sul suo corpo) impossibilitata a difendersi poiché immobilizzata negli arti inferiori. La pluralità dei patimenti cagionati, rende invero particolarmente riprovevole la condotta, rivelando l’indole malvagia dell’indagato e l’insensibilità a ogni richiamo umanitario».
La vicenda risale alla notte tra il 5 e il 6 ottobre, in una strada di campagna alla periferia di Gravina. I coniugi erano di ritorno da una festa in famiglia. Lui avrebbe simulato un incidente stradale («una versione di comodo» scrive la gip), facendo schiantare l’auto contro un muretto e poi dandole fuoco. «Lacarpia - si legge nell’ordinanza - aveva prescelto, come modalità esecutiva, quella dell’uccisione con le fiamme. La donna, evidentemente, dopo un breve lasso di tempo all’interno dell’auto in fiamme (circostanza consacrata dalla più intensa e diffusa presenza di ustioni sul suo corpo rispetto a quello del marito, praticamente illeso) è riuscita ad uscire. È allora che l’uomo, con ferma risoluzione criminosa, ha preso a soffocarla, bloccandola a terra nei pressi dell’incendio. E nonostante l’arrivo di terzi, che gli intimavano di fermarsi, dopo una brevissima interruzione, ha ripreso la condotta. Da ciò si trae la persistenza del proposito criminoso» scrive la gip, secondo la quale «l’indagato aveva deciso di uccidere la vittima proprio quella sera e nulla è stato in grado di arrestarne la spinta omicida (la resilienza della vittima riuscita a liberarsi e l’intervento di tre giovani che gli urlavano di fermarsi). E anche dopo essersi fermato, non ha prestato alcun soccorso alla moglie agonizzante». La «persistenza dell’ideazione omicidiaria, non sopita nemmeno dalla presenza di terzi», dimostrerebbe cioè che «non si è trattato di un raptus».
Un omicidio, quindi, commesso con premeditazione e pianificato «già diverse ore prima, ove l’allontanamento dalla festa costituiva l’occasione utile per l’attuazione del delitto (poiché i due sarebbero stati soli, lontani da casa e dai figli), di cui ha evidentemente predisposto le modalità esecutive».
A conferma di ciò ci sarebbe anche un altro dettaglio, contenuto nelle dichiarazioni del genero, su una valigia rossa che l’uomo forse aveva posizionato sotto un ponte a pochi metri dal luogo del delitto, che probabilmente conteneva la benzina usata per dar fuoco all’auto. «Secondo me - ha spiegato il marito della figlia agli investigatori - è stata una cosa fatta di proposito, sarà andato a comprare della benzina e l’ha nascosta nella valigia, a 10-15 metri dal luogo dove è successo il fatto, per poi utilizzarla quella notte. Quindi secondo me è lui che ha dato fuoco all’auto. Forse è possibile che mia suocera sia uscita poi dall’auto, durante le fiamme e lui si sia messo poi su di lei infierendo, come si vede nel video».
E proprio i 15 secondi che immortalano l’aggressione - con le dichiarazioni di tre testimoni oculari, tra i quali l’autrice del video, le ultime parole della vittima a un poliziotto e alla figlia e le testimonianze dei familiari - costituiscono, per la gip, «l’elemento più probante». Nelle immagini «l’indagato non sta tentando, né simulando, la rianimazione della donna», come invece ha dichiarato ai poliziotti. «Egli chiaramente - scrive la gip - la costringe a terra con entrambe le braccia, mentre lei si dimena con gli arti superiori per tentare di fermare l’aggressione. Non vi è alcuna manovra di rianimazione. Lacarpia tiene ferme entrambe le braccia mentre esercita pressione sul torace; la donna è vigile e non in stato di incoscienza e si dimena con quelle poche forze che le restano: tenta di rialzarsi, sollevando il capo da terra, ma il peso dell’uomo la blocca contro il suolo, agita le braccia contro l’asfalto come se non riuscisse a respirare e tenta invano di allontanare il marito con le braccia, venendo bloccata in tale movimento; la posizione assunta dall’indagato, in uno con il gesto di riportare a terra le braccia della moglie, conduce ad escludere che la stesse aiutando, dovendo piuttosto ritenersi che la stesse soffocando, con forza».
A questo si aggiungono «le urla dei ragazzi che gli intimavano di fermarsi» e «nonostante questo lui ha continuato ad infierire sulla moglie, senza mai chiedere aiuto, non ha mai chiamato i soccorsi». «Una persona che voleva aiutare - evidenzia la giudice - l’avrebbe subito allontanata dall’incendio, anziché lasciarla a terra agonizzante nei pressi delle fiamme». Ed inoltre le numerose fratture, ustioni e lividi dimostrerebbero che la vittima sia stata «percossa prima del tentativo di soffocamento».
Per tutte queste ragioni, pur non convalidando il fermo dell’uomo (che non è stato ancora interrogato perché fino ad oggi ricoverato in ospedale dopo un malore in cella), la gip ha disposto la detenzione in carcere, «dovendosi ritenere che l’indagato sia soggetto estremamente pericoloso, poiché violento, calcolatore e privo di ogni inibizione» e, quindi, per limitare «la libertà di movimento dell’indagato, al fine di allontanarlo dai familiari e prevenire ulteriori manifestazioni delittuose». Secondo la giudice, inoltre, «non vi sono seri dubbi, in questa fase, in merito all’imputabilità» di Lacarpia, nonostante i diagnosticati problemi neurologici. E anche l’aver detto ai ragazzi testimoni del fatto che soffriva di demenza senile, per la gip sarebbe una «informazione evidentemente resa nota per precostituirsi una scusa».