La campagna prosegue stancamente, nonostante i numeri dell’ultima settimana certifichino una lieve ripresa delle vaccinazioni. Rispetto alla platea candidabile ritenuta prioritaria (over 60, fragili ed estremamente vulnerabili), il quadro complessivo non si discosta di molto rispetto al recente passato: solo un barese su cinque ha ricevuto la quarta dose. Maria Chironna, docente di Igiene dell’Università di Bari, è responsabile del laboratorio di epidemiologia molecolare e sanità pubblica, nonché della rete regionale dei laboratori Covid19.
Professoressa, nemmeno i bivalenti sono sufficienti a dare una spinta decisa alla campagna. Perché?
«La campagna vaccinale non procede spedita come dovrebbe in vista della stagione autunno-invernale. Bisogna però tener conto dell’arrivo dei nuovi vaccini nei centri vaccinali da poco tempo. Inoltre, l’ondata epidemica estiva ha colpito decine di migliaia di persone. Queste persone non sono candidate al booster prima di 4 mesi. Anche questo aspetto va considerato. L’auspicio è che la macchina organizzativa si possa rimettere in moto speditamente e che si punti su una campagna informativa chiara, indispensabile per far comprendere l’importanza del secondo booster e aiutare la popolazione ad aderire con convinzione».
Le autorità continuano a evidenziare come non ci siano differenze fra gli ultimi due vaccini arrivati. Non è invece logico concludere che quello adattato a Omicron 4 e 5 sia da preferire rispetto ai precedenti?
«Indubbiamente c’è una differenza tra i vaccini. Ma ad oggi gli studi clinici sull’efficacia hanno dimostrato che il richiamo fatto con il vaccino aggiornato a Omicron BA.1 ha una capacità molto simile di aiutare a mantenere alta la protezione contro il Covid, paragonabile a quella degli ultimi arrivati, aggiornati a BA.4 e BA.5. Inoltre, mentre ora sta circolando prevalentemente BA.5, nei prossimi mesi non siamo certi che continuerà a circolare questa variante. Quindi, meglio vaccinarsi prima possibile, se candidati al secondo booster, a prescindere dalle varianti circolanti e con qualsiasi vaccino oggi disponibile per proteggersi verso le forme severe di malattia».
La decisione di trattare il Covid come fosse un’influenza è ormai presa. Ma cosa può succedere se la copertura cominciasse a calare senza la protezione dei richiami? Avremmo la tranquillizzante immunità adattiva oppure si rischierebbe nuovamente di intasare i presidi ospedalieri e di contare i morti?
«Sicuramente Covid19 non è la stessa malattia di quasi tre anni fa. I vaccini e i farmaci a disposizione hanno cambiato la prospettiva. Sappiamo però che la pandemia non finisce perché qualcuno lo ha deciso a tavolino. Si parla di era post-Covid19, ma il virus continua a circolare, così come continuano a generarsi le varianti, sempre più immunoevasive. E in concomitanza con le ondate epidemiche abbiamo sempre avuto un rialzo delle ospedalizzazioni e poi dei decessi. E a pagare il prezzo sono sempre stati i più fragili, gli anziani e le persone con altre malattie di base. Senza contare che quando i contagi sono molto elevati e si verificano in un periodo ristretto di tempo il rischio è che ci siano ripercussioni sul servizio sanitario (aumento di richieste di visite mediche, consulti, farmaci, ecc.) e anche sul sistema produttivo per le assenze dal lavoro. E sono tutti costi a carico della collettività».
A proposito di decessi, se ne parla troppo poco. In quattro mesi hanno perso la vita per Covid, secondo i bollettini regionali, più di 800 pugliesi, in media 200 al mese. Tutti no vax?
«Già, Covid19 può portare a morte in alcuni casi, ma questo triste bilancio, questo eccesso di mortalità, non scuote più le coscienze e non fa più paura come all’inizio della pandemia. Viene considerato il prezzo da pagare per il ritorno alla “normalità”. No, non sono tutti no vax, nel senso stretto del termine, i morti per Covid dei bollettini. Certamente il rischio di morire è più alto tra i non vaccinati o tra coloro che non hanno effettuato i richiami. Motivo essenziale per effettuarli. Poi a fare la differenza, come si ricordava, sono le condizioni di fragilità».
Nel nostro territorio il virus ha determinato 9mila decessi (su 177mila a livello nazionale), quindi in media 3.600 all’anno. Il tasso di letalità è decisamente superiore rispetto all’influenza stagionale, che però resta insidiosa. Negli ultimi anni ha impattato meno sulla popolazione. Cosa accadrà nella imminente stagione invernale?
«Chi dall’inizio ha seguito l’epidemia di Sars-Co-V2, ha sempre sottolineato che Covid19 non può essere assimilata a una influenza. La mortalità è 10 volte più elevata. E non è solo una malattia respiratoria. È una malattia anche sistemica in alcuni casi. E c’è il Long Covid mentre non c’è una Long influenza. Ma il leitmotiv prevalente è che sia poco più di un raffreddore. Ma non è così per molti. Ci sono problemi di comunicazione sanitaria. E anche l’influenza non deve essere considerata una malattia banale. Quest’anno si prevede una stagione influenzale severa, sulla base di quanto osservato nell’emisfero sud dove la stagione è appena terminata con un bilancio pesante. Tanto è vero che per questo inverno si ipotizzano scenari con due epidemie: quella da Sars-CoV-2 e quella da virus influenzali. La “australiana”, l’influenza di quest’anno, è stata già segnalata in molte regioni del Paese e anche in Puglia. È bene parlarne e invitare i cittadini a sottoporsi anche alla vaccinazione antinfluenzale. Fronteggiare due epidemie potrebbe essere più complicato».