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Il Petruzzelli e la Puglia una comunità in scena

 
Ninni Perchiazzi

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Ninni Perchiazzi

Il Petruzzelli e la Puglia una comunità in scena

Massimo Biscardi: «Non solo taranta, il Teatro è un simbolo»

Domenica 17 Aprile 2022, 08:00

Il teatro Petruzzelli simbolo identitario della comunità barese e pugliese. Un vessillo di tutto il territorio sulla falsariga della Taranta, meno pop, ma certo molto importante. Il sovrintendente della Fondazione lirico sinfonica, Massimo Biscardi, lancia l’appello in occasione della visita alla redazione della Gazzetta. «È una questione di percezione che città e istituzioni devono avere del teatro Petruzzelli. Il teatro è un simbolo di tutti noi e del territorio. Lo sforzo che stiamo cercando di fare è far percepire a città e regione il teatro come casa loro. Casa nostra», dice.

Biscardi auspica un percorso identitario condiviso da tutti?

«Il Petruzzelli può irradiare luce anche su tutto il resto della comunità. Non è vero che è una realtà a sé stante. D’altronde il Petruzzelli porta moltissimo alla città e al territorio. Anche in termini economici. Può essere un simbolo della nostra cultura, che non è solo la Taranta. È chiaro che sono generi molto diversi, ma non è vero che la cultura va bene solo se è di massa. C’è una cultura che, anche se è più profonda, è rivolta a tutti e traina tutto il resto. È una sorta di portabandiera».

Come si relaziona il territorio con la realtà del teatro?

«Il teatro non è più un mondo a parte, è una concezione dell’800 che francamente non esiste più. Noi non ci sentiamo ancora inseriti in questo contesto di una città e di una regione che stanno facendo tantissimo. E secondo me conviene a tutti, sentirci parte di questa crescita. Il teatro è parte di una comunità. Si tratta di concetti importanti, che vorrei che venissero assunti e capiti da tutti. Vorrei che la nostra immagine venisse sfruttata, adoperata».

Cosa serve per compiere il salto di qualità?

«Affinché ciò avvenga c’è bisogno della costruzione di un’immagine. È una cosa sulla quale riflettere e alla quale siamo lavorando. La differenza con altri teatri è proprio l’appartenenza alla comunità».

Riuscire ad attrarre le giovani generazioni, per quanto difficile, può fare la differenza?

«Con la pandemia è cambiata l’estetica, la fisionomia del teatro. È una cosa sulla quale stiamo indagando. Dopo il Covid la formazione del pubblico è molto più giovane, abbiamo grappoli di ragazzi che occupano i palchi. Si tratta di ragazzi colti, non solo quelli che sfruttano l’abbonamento dei nonni, che magari hanno paura ad uscire di casa per il rischio del contagio. Tutto ciò è molto promettente. Abbiamo circa il 40% in più di giovani nel Petruzzelli. Sono tantissimi».

Servirebbe un teatro più pop per avvicinarsi di più ai giovani?

«Certo è una nostra necessità, ma non è vero che i giovani sono lontani, invece sono molto presenti. Certo è un nostro problema quello di non saperci rivolgere a una platea più estesa, ma ci stiamo lavorando. Finora abbiamo attivato strumenti classici, dobbiamo pensare ad altro. Ora il mondo è cambiato, la gente dobbiamo andarcela prendere casa per casa».

Come si apre il teatro alla città e alle persone? È possibile fare visite?

«È una cosa che noi facciamo regolarmente il sabato e la domenica, così come siamo sempre stati aperti alle scuole. Chi vuole visitare il teatro come un monumento lo può fare (il tour guidato costa solo 5 euro).

Qual è il bilancio dei Family concert?

«Li facciamo da otto anni, si sono rivelati un successo, anche in relazione alla frequentazione successiva del teatro. Ad esempio, abbiamo fatto tutto esaurito con il Tristano e Isotta, che non è di facile ascolto».

Come esce il Petruzzelli dall’esperienza del Covid?

«Tutti i teatri in Italia hanno perso il 50% del pubblico, noi solo il 10%, che man mano stiamo recuperando. A fronte di questo 10%, vedere questa popolazione giovane non può che far piacere».

Quali sono gli spettacoli che tirano di più?

«I concerti, che vengono seguiti da chi ha una maggiore preparazione musicale. È un periodo molto positivo. Anche noi abbiamo approfittato del periodo del Covid, che ci ha costretto a chiudere o a fare spettacoli senza pubblico, per mettere a frutto alcune iniziative. Che non avremmo mai osato fare. Abbiamo realizzato otto puntate di Aus italien, trasmesse in streaming dedicate alla musica contemporanea italiana, con le interviste agli autori - Ivan Fedele, Michele Dall’Ongaro e altri - che spiegano la filosofia della loro musica. E vi assicuro che c’è tanta musica buona. C’è poi Michele Corrado, un giovanissimo compositore che ha scritto per noi una magnifica composizione per solo coro. Abbiamo avuto 140mila visualizzazioni, in Giappone, Stati Uniti e Sudamerica con dei numeri maggiori. Un successo inaspettato. Ci siamo rimboccati le maniche perché il teatro Petruzzelli ha bisogno di avere un bagaglio di contenuti che va creato giorno per giorno, ha bisogno di proporre novità».

Guerra e cultura russa. Che succede?

«La dama di picche di Ciaikowsky è saltata a causa del blocco Swift, con cui regoliamo le transazioni con il teatro Helikon di Mosca. Lo riproporremo a novembre grazie ai contatti col festival Wiesbaden, tra i più antichi d’Europa, dove hanno fatto una produzione molto bella della stessa opera. L’embargo è una sciocchezza. Occorre distinguere gli uomini dalla cultura. Umanamente mi dà fastidio trattare con uno che inneggia a Putin, però tutti gli artisti devono poter collaborare con noi. Preferisco parlare con persone che la pensano come me, che credono nella democrazia».

«Dal 2014 tante cose sono cambiate. Abbiamo lavorato per mettere le cose a posto e adesso finalmente abbiamo avuto l’approvazione della dotazione organica. Siamo tra i primi teatri italiani. Abbiamo rimesso tutto in ordine con le nostre risorse e i nostri risparmi. Questo ci dà tranquillità per il futuro, in un settore in cui gli incassi incidono solo per il 20%. Certo noi abbiamo prezzi molto bassi ma è una scelta».

Su quali risorse contate?

«Nel bilancio del teatro gli affitti valgono un introito tra 500mila e 700mila euro l’anno, il Fondo unico per la spettacolo sfiora i 9 milioni, più riceviamo 3 milioni dalla Regione e 2 dal Comune. Gli apporti dei privati sono poca cosa, non abbiamo né banche nei grandi industrie alle spalle».

Progetti per il futuro?

«Abbiamo contatti di qualità con la Scala e rifaremo nel 2023 la tournée in Giappone».

La sua mission?

«Vorrei che il teatro venisse percepito e assunto in modo migliore e maggiore dalla gente, dalla comunità. Da questo può nascere una partecipazione di pubblico naturale. Ribadisco che c’è la necessità di coinvolgere la gente. Occorrono strategie diverse. La sfida è un’opera di convincimento culturale. L’obiettivo non è realizzare un exploit, ma essere presenti in modo costante».

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