BARI - Stallo nell’iter per realizzare il Polo della giustizia nell’area delle Casermette. È saltato causa Covid, e non è mai stato riconvocato, l’incontro del 31 marzo a Roma, in cui il ministero della Giustizia avrebbe dovuto validare lo studio di fattibilità, propedeutico alla progettazione. Intanto, preoccupa lo stato del tribunale di piazza De Nicola. E il sindaco Decaro, sul «modello Genova», ha chiesto un commissario.
Il palazzo di via Nazariantz è «morto», quello di piazza De Nicola non si sente troppo bene. E mentre a Roma si discute la giustizia barese viene espugnata.
Anche l’edificio che ospita il tribunale civile, la Corte d’appello , la Procura generale, l’aula di Corte d’assise e l’Ordine degli avvocati rischia di finire nello spezzatino delle sedi giudiziarie cittadine. Le condizioni dell’edificio non permettono di guardare al futuro con serenità.
Un problema in più, che prima o poi potrebbe deflagrare e aggravare un quadro già critico. Eppure la realizzazione dell’agognato Polo della giustizia segna il passo. E l’emergenza coronavirus non può bastare a giustificare i ritardi. L’iter non può rallentare, non può arenarsi.
Il sindaco Antonio Decaro pochi giorni fa ha suonato la sveglia: «Quest’opera credo abbia tutte le caratteristiche di importanza e di urgenza, serve un commissario per realizzarla in tempi rapidi», ha chiesto al ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede.
Bisogna premere sull’acceleratore, altrimenti il «Polo» resterà sulla carta e il personale della giustizia, gli avvocati e, soprattutto, i cittadini baresi faranno i conti con immani disagi ancora per lunghi anni.
Serve più che mai il «modello Genova», quello che ha consentito la ricostruzione del ponte «Morandi» nel giro di un anno. Un miracolo italiano nelle opere pubbliche. E dire che a Bari non si tratta di realizzare un’infrastruttura viaria complessa come quella del capoluogo ligure. Il compito sarebbe più agevole, ma c’è la stessa necessità e urgenza di superare le pastoie burocratiche e arrivare dritti alla meta. Garantire il funzionamento della giustizia non è diritto derogabile.
LO STALLO E dire che i presupposti per risolvere la vicenda ci sono. C’è l’area, c’è lo studio di fattibilità pronto, ci sono già quasi 100 milioni di euro a disposizione (fondi del ministero di via Arenula destinati all’edilizia giudiziaria nel Sud), c’è il soggetto attuatore, l’Agenzia del demanio.
C’è stato, e questa è storia recente, un incontro organizzato a Bari dal Comune in cui i tecnici dei diversi enti coinvolti si sono confrontati. Gli ingegneri di corso Vittorio Emanuele, del Ministero, dell’Agenzia del demanio, del Provveditorato alle opere pubbliche hanno valutato le caratteristiche urbanistiche e di viabilità dell’area prescelta. È stato analizzato lo studio del fabbisogno firmato da Invitalia, commissionato e realizzato con risorse della Città metropolitana. Una lunga riunione, da cui non sono emersi intoppi, dall’esito sicuramente «positivo» secondo i protagonisti. Viene anche registrata la volontà di procedere dell’Agenzia del demanio.
L’appuntamento successivo avrebbe dovuto tenersi a Roma il 31 marzo. Ma arriva il Covid e tutto si ferma. E senza la validazione dello studio di fattibilità da parte del Ministero, attesa proprio in quella sede, tutto resta solo un bel sogno sulla carta.
Superare lo scoglio romano, invece, avvicinerebbe l’idea alla realtà. Il documento di Invitalia, sulla base dei numeri del personale, delle udienze da svolgere, individua gli spazi e le volumetrie necessarie per realizzare i nuovi uffici e le nuove aule. L’analisi dei fabbisogni è la base per fare partire la progettazione vera e propria (attraverso un concorso internazionale o una gara ordinaria). Ma lo studio di Invitalia attende ancora l’imprimatur del ministero della Giustizia. Nonostante la stessa Agenzia del demanio abbia sollecitato il dicastero del guardasigilli a dare seguito all’incontro di Bari.
Tutto, però, tace ancora. La crisi Covid non ha fermato il nuovo ponte di Genova. Gli incontri istituzionali, si pure in videoconferenza, non si sono fermati. Una questione importante come il Polo della giustizia di Bari non può essere vittima del «lockdown».
disagi continuiL’emergenza sanitaria ha invece sicuramente complicato ancora di più il lavoro delle migliaia di avvocati baresi. A giugno del 2018 le udienze nelle tende da campo nel piazzale del tribunale di via Nazariantz, dopo la revoca dell’agibilità per il rischio di crollo dell’edificio, fecero il giro d’Italia. Le toghe sono costrette a peregrinare tra piazza De Nicola, via Brigata Regina, ex Tribunale di Modugno, ex Tribunale di Bitonto, aula convalide della casa circondariale, Tribunale per i minorenni e Giudice di pace. Soprattutto tra i penalisti, i più colpiti dallo «spezzatino», la rabbia aumenta di giorno in giorno.
Con l’arrivo della pandemia, le sedi sono state chiuse, tranne che per i processi «urgenti ed indifferibili». E i legali sono andati raminghi tra caserme, carcere, uffici giudiziari e studio professionale per garantire ai propri assistiti il diritto alla difesa.
Dal mese scorso, in ossequio alle regole anti-contagio, otto sulle 14 aule per le udienze del palazzo di via Dioguardi non possono contenere più di sei persone (la più grande non più di 18). Il compito dei difensori è diventato ancora più arduo. Gli avvocati hanno protestato martedì scorso in piazza Prefettura. A conferma della «fame» di sedi giudiziarie idonee.
LA SPERANZA - Bisogna augurarsi che l’appello del sindaco Decaro venga raccolto dal ministro. Commissario e «Modello Genova» sono l’extrema ratio per impedire il naufragio di un progetto cui a Palazzo di città credono tuttora.
Il direttore generale Davide Pellegrino conferma: «Il Comune di Bari ritiene prioritario risolvere l’annoso problema delle sedi giudiziarie, si tratta di una questione decisiva per la città. Non a caso il sindaco Decaro ha invocato la nomina di un commissario. Può essere una figura necessaria per superare i rallentamenti in caso di questioni strategiche come questa».