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Sud, la certezza del diritto al posto di leggi speciali

 
TONIO TONDO

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TONIO TONDO

Sud, il Mezzogiorno d'Italia

Mercoledì 07 Marzo 2018, 17:24

di TONIO TONDO

Della mente umana e del suo funzionamento conosciamo ancora poco. Lo dicono i neuroscienziati seri. Ancora meno sappiamo del rapporto tra individuo psico-sociale e dinamica della politica, soprattutto nella nostra fase storica di disgregazione delle istituzioni sociali e del crollo dei corpi intermedi. Fino agli Anni Ottanta ogni cittadino aveva fiducia nel suo sindacato, nel suo partito di appartenenza e nelle organizzazioni professionali e produttive. La teologia politica, un misto tra valori morali, ideologici e religiosi e interessi personali e di gruppo, rendeva il conflitto politico razionale e prevedibile. Le categorie del politico, anche nelle fasi di emergenza, erano padroneggiate da una élite di alto livello, all’interno delle quali avveniva il ricambio secondo regole scritte e non scritte. Queste élite, prestigiose nei primi anni dopo l’Unità d’Italia e dopo la Seconda guerra mondiale, hanno garantito la tenuta e la potenza dello Stato nel fluire della storia. Le tensioni sociali, anche quelle violente, sono state affrontate con coraggio e intelligenza, prima con la forza poi attenuate e via via assorbite. Solo la caduta etico-culturale delle élite ha determinato il disorientamento dei cittadini, in particolare dei più deboli.

Oggi, è tutto cambiato. Nulla sarà come prima, scrivono molti commentatori e ripetono i giornalisti delle televisioni. La retorica del cambiamento perenne, in realtà, ci spinge ad accettare passivamente la tesi del cambiamento come una sorta di terapia generica e a copertura larga della nostra difficoltà a comprendere veramente i processi politici in atto e le ragioni che li determinano. Usiamo la parola cambiamento perché ci fermiamo alla schiuma della storia, incapaci e superficiali, pigri nello sforzo di ascolto, approfondimento e conoscenza possibile. Ci contraddiciamo da un giorno all’altro, prigionieri di categorie affrettate e subito consumate dal borbottio perenne dei media che si sono impossessati delle menti individuali e dei diversi gruppi sociali che si formano su effimere parole d’ordine ed emozioni e si disgregano con una rapidità sconvolgente.

Dovremmo preoccuparci tutti di questa condizione, soprattutto noi italiani del Mezzogiorno dovremmo preoccuparci dello stato delle nostre comunità. La lettura di un Paese spaccato in due, il centrodestra nel Nord produttivo e i 5stelle nel Sud assistito e in attesa dell’assegno sociale, rappresenta una semplificazione del drammatico travaglio politico e del dolore nelle aree del Meridione, affidate solo allo straordinario impegno di volontari sociali. Masse di meridionali si spostano da un capo politico all’altro in base a movimenti sotterranei e inconsapevoli. Inseguono promesse e istinti, parole d’ordine sussurrate, impegni clientelari occulti ma anche amplificati da social e media acritici subordinati all’umore che cambia e degrada tutto ciò che dovrebbe essere credibile, stimabile e fonte di fiducia. Dallo Stato alle istituzioni locali, anch’esse prigioniere di parole vuote, tutto nel Sud appare sommerso da maree limacciose. Le voci autorevoli latitano, molti giovani di valore partono e quelli che restano sono imbrigliati e confusi nella mediocrità.

Il Mezzogiorno d’Italia è l’area più arretrata dell’Europa a 27 o a 28 compreso il Regno Unito. Non esiste area sottosviluppata più estesa del nostro Sud. Il Giornale di Milano, sintetizzando una mappa elettorale, ci ha schiacciati sulla memoria ripetitiva del Regno delle due Sicilie. La cartografia, dicono gli studiosi, influisce sullo sviluppo del nostro pensiero, sul suo ordine e sulla disciplina della nostra inclinazione ad agire. Greci e Romani sono stati straordinari nella rappresentazione delle loro mappe, con vere e proprie direzioni del loro sviluppo possibile. L’immagine del Giornale non ci aiuta, anzi favorisce comportamenti cognitivi improntati al vittimismo e anche all’indolenza plebea. Non dobbiamo rimuginare la nostra storia. Solo una memoria dinamica ci aiuta ad essere proattivi e intraprendenti.

Lo stesso ribollire delle diverse zone del Sud, le tensioni economiche e sociali sono rimaste senza espressione sociale e culturale. I sindacati sono ridotti a simulacri, le associazioni di categoria annichilite e a volte condizionabili dai poteri residui oppure dalla mancanza di autostima e di fiducia nelle istituzioni. Nella disgregazione gli esponenti politici diventano canne al vento senza un orientamento chiaro.

Di commenti elettorali ne abbiamo scritti tanti. Noi giornalisti dovremmo però assumerci il dovere morale di ascoltare e raccontare ciò che avviene nelle nostre città e nelle nostre comunità, anche le più piccole. I nuovi colori della politica, gli interrogativi che nascono, le speranze stesse di coloro che abitano e vivono con noi nei paesi e nei quartieri, indicano nuovi percorsi e nuovi racconti. Noi sappiamo nella nostra mente più profonda che non abbiamo bisogno delle elemosine di Stato per uscire dalle difficoltà e dalla povertà. Sappiamo che la mappa di un Sud assistito è un’offesa alla nostra dignità di uomini liberi, pronti al sacrificio e ai nuovi doveri che la storia ci impone. Soprattutto dobbiamo rispondere richiamandoci al valore profondo e salvifico della libertà. Non dobbiamo chiedere leggi speciali, ma solo quadri legali certi e condivisi all’interno dei quali l’iniziativa privata sana venga incoraggiata e sostenuta con moralità e con concretezza. Ai nostri giovani che non studiano né lavorano dobbiamo garantire concretamente percorsi educativi e formativi per acquisire le competenze nuove, tecnologiche e di abilità, delle quali abbiamo grande bisogno. Sono valori questi che dobbiamo vivere intensamente con i nostri amici europei, con la dignità di persone libere e pronte ad agire. Perché solo un’Europa forte e coesa può far indietreggiare tiranni e autocrati che si affollano ai confini e sconfiggere i fantasmi e le cattive intenzioni di vecchi e nuovi nazionalisti.

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