Quella che per lunghi anni è stata la stagione più esaltante della cosiddetta Seconda repubblica, ovvero l'elezione diretta dei sindaci, si è trasformata in un destino incerto per i primi cittadini, schiacciati tra l'ansia classificatoria dei comuni amministrati (qualità della vita, mobilità, gradimento e quant'altro) e il peso dei problemi irrisolti e in gran parte ereditati con la postilla, tutt'altro che gradevole, di diventare la calamita di tutte le responsabilità di carattere penale ogni qual volta c'è una denuncia, un esposto, una segnalazione: da quello che cade su un marciapiedi malmesso all'anonimo che ha trasformato un'area periferica in una discarica o, come è accaduto a Crema in Lombardia, perché un bambino si è pestato le dita in uno degli asili municipali, per non parlare degli atti che, se firmati o meno, si trasformano automaticamente in un avviso di garanzia (che diventa condanna a prescindere) per abuso d'ufficio oppure omissione.
Situazioni ingombranti per chi deve amministrare le comunità e che sono peggiorate da un immaginario collettivo che non riesce più neanche a distinguere i piani. I sindaci, loro malgrado, finiscono nel mirino anche se c'è ad esempio una virulenza di episodi criminali come se l'ordine pubblico fosse qualcosa di municipale e non demandato agli organismi preposti.
Anche se in questo caso non è mancata la complicità di quei sindaci-sceriffo che in passato hanno contribuito a confondere ancora di più le acque pensando di risolvere con le «ronde» problemi più complessi.
La manifestazione degli oltre seicento sindaci ieri a Roma, con in testa il primo cittadino di Bari e presidente dell'Anci, De Caro, ha voluto richiamare proprio la sproporzione tra i compiti e le responsabilità addossate ai sindaci che, in sede penale, rispondono di tutto e di più. È evidente che non siamo di fronte a una persecuzione delle Procure nei loro confronti. I presìdi giudiziari applicano le leggi ed è evidente che non c'è scampo in presenza di un vuoto legislativo che va assolutamente riempito.
Una delle conseguenze di questa paralisi del Legislatore, e che è già palpabile, è la difficoltà a tutti i livelli e per ogni comune indipendentemente dalle gerarchie urbane, ad assicurarsi disponibilità per le candidature, mentre fino a qualche anno fa, la base sociale composta da partiti, movimenti, società civile litigavano mesi e mesi prima per imporre questo o quel nome, tanto da introdurre le primarie anche per la scelta del candidato sindaco come soluzione accettabile di fronte alla marea delle candidature.
I sindaci non chiedono ovviamente «scudi» penali, ci mancherebbe, ma una proporzione equilibrata tra compiti e responsabilità, tenuto conto che la riforma delle autonomie locali di fatto tiene i primi cittadini fuori dalla «gestione», affidata ai dirigenti degli enti locali che, in media, guadagnano quattro volte lo stipendio di un sindaco, non devono sottoporsi all'esame elettorale, hanno uno strapotere discrezionale che meriterebbe maggiore attenzione da parte degli organismi di controllo e non ultimo si autoassegnano i premi di obiettivo (pure nei comuni in pre dissesto, ad esempio), grazie anche alla complicità dei nuclei di valutazione che nei fatti rendicontano senza valutare alcunché.
Poi ci sono le questioni che attengono a certi «diritti» politici come ad esempio quello della candidatura al Parlamento che viene negata, unico caso, solo ai sindaci, costretti a dimettersi sei mesi prima per eventualmente competere nella lotta per uno scranno (sempre di meno dopo la riforma) senza alcun paracadute.
Dalla manifestazione di Roma – e da un sentire tutt'altro che di parte ma che unisce i primi cittadini da nord a sud indipendentemente dalla collocazione politica – emerge inoltre uno spaccato tangibile e lontano da quell'ideale illusorio che accompagna il sindaco: sono uomini e donne che vivono il più bel mestiere del mondo – per dirla alla Decaro – in una moltitudine di persone che si trasforma in una galassia di solitudine.
I sindaci, infatti, si occupano prevalentemente della gestione di una città e della vita dei cittadini, ma mai come accaduto in passato dalla manifestazione romana hanno chiesto a tutti noi di dare uno sguardo anche sulla loro vita, felice nella forma, spesso triste per il contenuto. Ecco perché in assenza di un cambio di rotta del legislatore – con la messa a punto di un testo unico meno bizantino e più aderente alla realtà -, l'elezione diretta del sindaco, apparsa come una grande conquista 28 anni fa, potrebbe trasformarsi in un brutto destino per i comuni (fatte le dovute eccezioni), perché in queste condizioni al ribasso, all'appello per individuare candidati sindaci risponderanno sempre i meno bravi o nella peggiore delle ipotesi, quelli che non hanno nulla da perdere.