La vogliamo smettere di dire ai ragazzi che il futuro sarà più grigio di quello che all’orizzonte scorgevano i loro padri? Invece di ammorbarli con visioni apocalittiche, aiutiamoli a sognare. È vero, la realtà è amara, ci mancava pure l’emergenza epocale del Covid a complicarci la vita, ma i nostri nonni, reduci dalle devastazioni della guerra e della carestia, ci hanno insegnato che dalle macerie ci si può rialzare, animati da entusiasmo, voglia di fare e obiettivi da raggiungere. Il boom degli anni Sessanta è proprio figlio di questo approccio che va declinato ai giorni nostri, condendolo di sogni e non di incubi, paure o rassegnazione. Lo dice anche Papa Francesco: «Affinché i nostri giovani abbiano visioni, siano sognatori, possano affrontare con audacia e coraggio i tempi futuri, è necessario che ascoltino i sogni profetici dei loro padri».
Ecco, i sogni, non espressioni di pessimismo cosmico. I desideri - diceva Orson Welles - sono il carburante del futuro di un presente difficile, ma non modificabile. Parliamo ai nostri figli, ai nostri nipoti, aiutiamoli a capire e a decifrare il tempo in cui viviamo. Non lasciamo che i loro modelli di riferimento siano solo le persone di successo, ma soprattutto uomini e donne a loro vicini e che nella vita e nella professione hanno coltivato desideri autentici. Evitiamo che la televisione e, soprattutto, il web plasmino la loro concezione dell’essere realizzato.
Internet può rivelarsi una «brutta bestia»: fino a dieci anni fa - come rilevò un concorso promosso dall’associazione «Amici dell’Università Cattolica» - i ragazzi sognavano di fare l’avvocato, il medico, l’ingegnere, il calciatore, la ballerina. Un recente sondaggio nei principali istituti scolastici della Basilicata ci dice che oggi il loro cassetto è desolatamente vuoto. Il 75 per cento degli intervistati, su un campione di 1.000 ragazzi, ammette di non avere sogni. Temiamo che, in questa società dalle tendenze omologate, la percentuale sia ribaltabile in ogni latitudine. Dato statistico che sposa la percezione della Gazzetta quando incontra gli studenti per parlare di giornalismo: sarà che il nostro è un mestiere ritenuto inflazionato, sottoposto a una profonda e continua trasformazione che rischia di offuscarne i contorni, sta di fatto che gli aspiranti cronisti tra i banchi di scuola sono come mosche bianche. E pensare che negli anni '70-'80 quello di giornalista era al terzo posto dei desideri professionali dei giovani di allora, dopo medico e ingegnere. I ragazzi oggi preferiscono altri lidi, attingendo dai profili della rete, a cominciare dagli influencer, molti dei quali non hanno alcun talento da esprimere. Se non quello di essere convincenti nelle banalità e nelle vacuità. Pifferai del nulla. Si dirà: come certi politici. Anche questo è vero.
Per carità, ci sono esempi di influencer capaci di «trasmettere» messaggi e di orientare il costume (Ferragni ha costruito un impero economico, chapeau), ma sui social è un pullulare di scimmiottamenti e di personaggi che alimentano il proprio conto in banca attingendo alla lobotomizzazione di chi li guarda. Come quel tale che su Tik Tok deride il forzuto capace di spaccare una mela con le mani, tagliandola con il coltello e terminando l’azione con ghigno e mani all’egiziana. Dicono che sia tra i più seguiti, più di artisti come Lady Gaga o Ariana Grande. È lui un modello su cui immaginare il proprio futuro? Stiamo freschi.
No, non ci arrendiamo. Ai ragazzi insegniamo a sognare davvero, sosteniamoli, aiutiamoli a decifrare il loro vero talento. Loro ci metteranno le ali. Le famiglie sì, ma anche la politica faccia la sua parte: le conseguenze delle decisioni di oggi li toccheranno in prima persona ed è giusto che dicano la loro. Appello lanciato da Papa Francesco ai giovani durante l’evento di Assisi di novembre scorso: «Ragazzi non potete restare fuori dai luoghi in cui si genera, non dico il vostro futuro, ma il vostro presente. O siete coinvolti o la storia vi passerà sopra».