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Il modello Genova per fare luce a Mezzogiorno

 
Giuseppe De Tomaso

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Giuseppe De Tomaso

E pensa tu se il Sud non fosse ignorato

Servirebbero infrastrutture, materiali e immateriali, non foss’altro che per valorizzare i tesori come Pompei o le beltà della Puglia. E poi soldi e idee per ammodernare tutto il resto

Giovedì 25 Marzo 2021, 14:56

La Germania è una potenza economica. La Francia è una potenza militare. L’Italia è una superpotenza culturale (ma lo ignora). Se l’Italia sapesse sfruttare al meglio i suoi giacimenti artistici, non ce ne sarebbe per nessuno in Europa sul piano della ricchezza , dal momento che i beni storici del Belpaese sono irripetibili, mentre i beni economico-militari di Germania e Francia sono replicabili ovunque: è sufficiente impegnarsi in tal senso, per migliorarne i rendimenti.
Il primo ad accorgersi dell’eccezionalità della Risorsa Italia fu lo scrittore francese Marie-Henri Beyle (1783-1842), meglio conosciuto come Stendhal, un osservatore, un giudice al di sopra di ogni sospetto, alla luce della proverbiale, antica rivalità tra le due nazioni latine. Al cospetto della straordinaria bellezza delle opere d’arte e dei monumenti di Roma, Napoli e Firenze, il turista Stendhal patì un’affezione psicosomatica caratterizzata da tachicardia, capogiri, vertigini, confusione e allucinazioni. Di qui la diagnosi, gratificata e celebrata come un brand di successo: sindrome di Stendhal.
Ecco. L’Italia non è mai riuscita a mettere a reddito come si deve la reazione estatica di milioni e milioni (forse miliardi) di visitatori di fronte ai suoi innumerevoli e unici capolavori artistici, architettonici, paesaggistici. Infatti. I conti del turismo, in Italia, fanno ridere rispetto al patrimonio culturale di partenza del Belpaese, al suo potenziale di sviluppo, ai suoi pilastri di redditività.

Per non parlare del Mezzogiorno, dotato, rispetto al resto della Penisola, di una perla aggiuntiva, senza prezzo: il sole.
Ora. Nonostante i regali naturali, e non, ricevuti dal Padreterno, l’Italia fa fatica a crescere e a darsi una prospettiva di sviluppo. E meno male che nel corso del tempo ha potuto giovarsi dell’estro di fuoriclasse come Filippo Brunelleschi (1377-1446), Andrea Palladio (1508-1580), Gian Lorenzo Bernini (1598-1680), da secoli i veri ministri dei Beni Culturali dello Stivale, altrimenti la classifica mondiale della ricchezza non ci avrebbe visti nel gruppone di testa.

Il Sud, dicevamo. Basterebbe Pompei, basterebbe gestire al meglio il giacimento di storia più sconvolgente di sempre, per generare ricavi che Amazon di Jeff Bezos nemmeno si sognerebbe. Invece. Invece si opera sempre al ribasso, con una mentalità burocratica tipica di chi si accontenta o di chi prova quasi piacere a ripetere sempre «no, non si può».
Dunque. Premesso che il Nord e il Sud non sono così diversi come certa letteratura e incerti luoghi comuni lasciano intendere, è difficile dare torto a Mario Draghi quando ricorda che i quattrini del Recovery Fund sono una benedizione, specie per il Meridione d’Italia, cui in gran parte sono destinati, ma che se non si utilizzeranno al meglio i miliardi di euro in arrivo, per il Mezzogiorno sarà sempre mezzanotte. Del resto le cifre del recente passato non abbisognano di analisti particolari: di fronte ai 47,3 miliardi di euro programmati nel Fondo per lo Sviluppo e la Coesione dal 2014 al 2020, alla fine del 2020 ne erano stati spesi poco più di 3 miliardi. E le opere pubbliche? Il 70 per cento di quelle non completate si trova al Sud.
Morale. Scarseggia la capacità di spesa, il che sta a significare che pure la capacità progettuale lascia a desiderare, il che sta a significare che pure la capacità politico-amministrativa è quella che è: assai modesta (anche al Nord, come attesta il dramma-farsa delle misure anti-Covid).

Servirebbero infrastrutture, materiali e immateriali, non foss’altro che per valorizzare i tesori come Pompei o le beltà della Puglia. E poi soldi e idee per ammodernare tutto il resto.
Il Recovery Fund è un’occasione che non si ripresenterà neanche tra un millennio. Se non si infrastruttura adesso il Sud, con una montagna di soldi pronti alla bisogna, forse non si infrastrutterà mai più.
La base giuridica ci sarebbe, per costruire grandi e piccole opere nel Mezzogiorno: il modello Genova (adottato per la rapida ricostruzione del ponte crollato). Si obietterà che a Genova la manovra-lampo è stata resa possibile grazie al non lieve particolare che il nuovo ponte è stato realizzato laddove c’era il vecchio ponte, il che ha accelerato assai le operazioni. Ma non è un’obiezione insormontabile. Quando si vuole, come si è fatto negli anni del miracolo economico, i tempi di attuazione dei lavori non solo vengono rispettati, ma addirittura anticipati. E se qualcuno - riparliamo di oggi - dovesse mettersi di traverso, si proceda alla nomina di commissari ad hoc, capaci di sbloccare e far funzionare i cantieri. Allora, commissari dappertutto? Ben vengano, se servono a velocizzare le opere.

Il Mezzogiorno ha bisogno di infrastrutture materiali e immateriali (banda ultra larga in primis), ha bisogno di libertà e concorrenza per i suoi imprenditori, in modo tale che prevalgano i bravi, non quelli mediocri designati e protetti dalla Casta e dal Contesto.
Il Recovery è un salvadanaio inatteso. Saremo capaci di non disperdere le monete che contiene? Speriamo.
Se, invece, lo Stato centrale e il Sud non saranno all’altezza dell’alluvione di denaro in arrivo, così come non si sono dimostrati all’altezza di Pompei e delle sue potenzialità reddituali, tanto vale, allora, chiudere baracca per affidarsi alla misericordia del buon Dio.
Ps. Ovviamente il Sud dovrà tenere gli occhi sempre aperti per non lasciarsi soffiare, sotto il naso, i nastri di euro in arrivo.

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