Non sappiamo se lo stop al vaccino AstraZeneca sarà definitivo. Sappiamo però che – sotto il profilo della fiducia da parte della popolazione – si tratta di un duro colpo che rischia di metter in crisi l’intera campagna vaccinale.
E che potrebbe generare – aspetto di cui si è parlato molto poco fino a ieri –ipotesi di presunte responsabilità professionali di medici e infermieri protagonisti insostituibili della campagna vaccinale che, a loro volta, potrebbero determinare atteggiamenti difensivi tali da far impantanare l’“operazione vaccino”.
Già qualche giorno fa, nel caso che ha dato il “la” a tutta la vicenda dei cd. “eventi avversi”, un pubblico ministero ha proceduto a iscrivere – quale atto dovuto – nel registro delle notitiae criminis i nominativi dei medici e dell’infermiere che hanno effettuato o contributo a effettuare l’inoculazione.
Un atto processualmente effettuato anche nell’interesse dei destinatari (rendendo possibile la partecipazione ad atti irripetibili come può essere un’autopsia), ma che mette il personale medico e paramedico nella scomoda posizione di doversi occupare di un procedimento dal quale quasi sicuramente usciranno indenni. Al di là delle norme, il buon senso ci dice che si tratta di una situazione a dir poco paradossale.
Ecco, allora, che ritorna in primo piano il dibattito sul cd. “scudo penale”, sulla predisposizione cioè di uno strumento normativo che escluda in radice ogni forma di responsabilità di coloro che abbiano semplicemente effettuato o contribuito a effettuare la vaccinazione. Con pressioni sul mondo della politica che, peraltro, non sono una novità. Già lo scorso anno, difatti, vi fu chi dal fronte medico – quei medici subito considerati eroi la cui audacia è stata presto dimenticata – cercò di puntare i riflettori sulla realtà determinata della pandemia che costringeva i medici a operare in costante emergenza. Senza avere il tempo né la voglia di pensare a improbabili conseguenze giudiziarie. L’appello rimase inascoltato.
Ed invece oggi c’è bisogno di agire rapidamente, magari con un decreto-legge (ve ne sono i presupposti di necessità ed urgenza), se non si vuole correre il rischio di vanificare la campagna vaccinale. Quanto previsto dalla complessa normativa vigente (legge 8 marzo 2017, n. 24) non è sufficiente. A tutti sono note le conseguenze nefaste che la “medicina difensiva” ha determinato in questi ultimi anni.
Distorsioni dell’obbligatorietà dell’azione penale – un feticcio, quotidianamente smentito dalla prassi –, si dirà. Ma anche letture un po’ disinvolte di vicende che non meriterebbero tale trattamento sul fronte (mediatico e) giudiziario ma un sano realismo (per inciso, nel 2017 l’allora procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone inviò una circolare per porre fine agli “automatismi” delle iscrizioni delle notizie di reato nel relativo registro, spesso effettuate in maniera affrettata, e l’anno prima la Corte di Cassazione aveva sottolineato che tali atti costituiscono un danno per chi vi è coinvolto, poiché determinano la sottoposizione a un’indagine penale, ledendo l’immagine dei destinatari specie se pubblici ufficiali).
Ecco allora che un intervento legislativo si impone.
Tecnicamente non si tratta di un’immunità. Il medico (e i soggetti assimilati) continuerebbero a rispondere dei loro comportamenti per dolo o colpa grave, ma non entrerebbero – inutilmente – nel circuito giudiziario.
Si tratta, del resto, di una soluzione già adottata in altri Paesi per la responsabilità professionale del personale sanitario in generale. Subentra lo Stato a risarcire il danno determinatosi, prevalendo così in tempi rapidi la tutela delle istanze legate all’evento valutabili patrimonialmente. Occorrerebbe poi, in un augurabile intervento legislativo istituire un Fondo statale per risarcire le vittime ed anche un Fondo che consenta un indennizzo del personale contagiato (del quale spesso ci si dimentica).
Ieri il ministro della Salute Roberto Speranza e il viceministro Pierpaolo Sileri si sono impegnati a promuovere un’iniziativa tempestiva. C’è da augurarsi che non si tratti di una delle tante promesse della politica fatte sull’onda di vicende eclatanti e destinate a essere dimenticate nel cassetto. Molti medici nei giorni del lockdown chiesero di non esseri chiamati eroi, oggi però desiderano non divenire vittime sacrificali da immolare alla pandemia. Sarebbe oltremodo indecente.
Gli afflati solidaristici che l’inizio della pandemia spontaneamente determinò sono ormai lontani. Eppure «La solidarietà è l’unico investimento che non fallisce mai», diceva il filosofo statunitense Henry David Thoreau, mentre un proverbio africano recita che se si vuole arrivare primi si deve correre da soli ma se si vuole arrivare lontano occorre camminare insieme. L’augurio, allora, è che categorie fino a un attimo prima dell’invasione del Coronavirus bistrattate non vengano restituite al ruolo di punching ball sul quale riversare tutte le manchevolezze della società, della quale tutti siamo parte.