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Taranto punto e a capo in un eterno monopoli

 
maristella massari

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maristella massari

Sospesa dal Consiglio di Stato l’ordinanza del Tar di Lecce sulle emissioni nocive in atmosfera, non ci sarà, almeno fino al 13 maggio nessuno stop per gli impianti dell’ex Ilva

Sabato 13 Marzo 2021, 16:31

Il nodo che non si scioglie tiene insieme sempre due capi della corda distanti tra loro: da una parte la salute, dall’altra il lavoro. E la cascata di inevitabili ricadute sociali, etiche e morali che questi due diritti fondamentali dell’uomo portano in dote.
Sospesa dal Consiglio di Stato l’ordinanza del Tar di Lecce sulle emissioni nocive in atmosfera, non ci sarà, almeno fino al 13 maggio – giorno in cui è fissata dai giudici l’udienza di merito -, nessuno stop per gli impianti dell’ex Ilva di Taranto.

I titoli di coda, nell’uno o nell’altro verso – la prosecuzione dell’attività dell’area a caldo del siderurgico o la sua soppressione -, ancora una volta vengono rinviati. Dilatati dai tempi lunghi della giustizia. Sì perché dove la politica – leggasi governo centrale – decide di non decidere, la magistratura si fa carico del problema.

Così Taranto diventa ancora laboratorio, anzi campo aperto di una disputa tra poteri dello Stato. Come in quel fatidico 2012, quando il pugno di ferro dell’allora gip Patrizia Todisco innescò la controffensiva del governo che dichiarò lo stabilimento di Taranto «d’interesse strategico nazionale». Il governo sembrò tracciare la via obbligata al risanamento ambientale. Ma sono passati da allora poco meno di 10 anni e i tarantini sono sempre qui a respirare gli stessi veleni.

Il «modus operandi» non muta, cambiano solo gli attori. Si va avanti anche oggi a colpi di carte bollate in questa tenzone che vede da un lato il sindaco di Taranto Rinaldo Melucci schierato a tutela della salute dei suoi concittadini, dall’altro i vertici di ArcelorMittal in difesa delle ragioni della produzione. Stretta tra i fuochi di due diritti costituzionalmente riconosciuti, quello alla salute e quello al lavoro, resta una città sacrificata da sessant’anni sull’altare della ragion di Stato.

Il pericolo legato alle emissioni del Siderurgico che i giudici del Tar di Lecce definivano «permanente ed immanente», per il Consiglio di Stato risulta «meramente ipotetico», mentre il pregiudizio «consistente nell’irrimediabile deperimento degli impianti» in caso di spegnimento, sollevato da ArcelorMittal, si profila «come attuale ed irreparabile».

Anche Palazzo Spada, dunque, avalla un “refrain” ai tarantini tristemente noto.
Salute e lavoro. Tema sempre caro all’arcivescovo di Taranto Filippo Santoro che, fin dal suo primo discorso di insediamento, ha sempre parlato di difesa con pari forza per i lavoratori e per i cittadini costretti a vivere in una città che risulta tra le più inquinate d’Europa. Una città che, dati forniti nel 2005 dalla stessa azienda, l’allora Ilva di Emilio Riva, immetteva in atmosfera un quantitativo di diossina pari all’8,8 per cento del totale europeo. E oggi? È capitato, può capitare ancora.

E si torna sempre al punto di partenza, come in un Monopoli che ti fa pescare sempre la stessa carta «torna sulla casella VIA».

Spetta alla politica sciogliere quel nodo. Per Taranto vanno prese decisioni forti, capaci di alimentare un processo di ricostruzione anche economica e sociale della città. Il governo ha tempo fino al 13 maggio per intervenire, prima che lo faccia ancora una volta un tribunale.

Purtroppo Taranto rischia di rivivere l’esperienza di altre realtà industriali della Penisola, rovinate nel corso dei decenni dall’indecisionismo permanente. In fondo, videro giusto quanti negli anni 50 espressero perplessità contro i fautori dell’industria pesante voluta dallo Stato. Così facendo, dissero i critici di quel modello, non avrete né industria nè ambiente. Buoni profeti furono.

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