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michele partipilo
11 Gennaio 2021
Da oggi Puglia e Basilicata saranno in zona gialla, la fascia più permissiva. Ma non si sa fino a quando, forse fino al 15, quando ci dovrebbe essere il nuovo Dpcm o fino a quando non scatteranno i parametri che abbassano la soglia perché si entri nella temuta zona rossa, cioè quella in cui – per farla semplice – si può solo stare tappati in casa.
Non sappiamo quanto questo «gioco» di colori abbia funzionato, i prossimi giorni saranno crucciali per capire se e quanto abbiano influito sul contenimento del virus o se abbiano comunque prevalso le trasgressioni natalizie a base di cenoni e di veglioni clandestini. In ogni caso appare chiaro che il codice cromatico in vigore ha un impatto molto negativo sulla gente.
Fa vivere tutti alla giornata, con un senso di precarietà che non aiuta certo a superare il momento difficile. Torna spesso l’assonanza con un tempo che non abbiamo vissuto: quello della guerra. Oggi si comprano le scarpe perché ci sono i saldi e i negozi sono aperti, al contrario dell’altro giorno che c’erano già i saldi ma i negozi erano chiusi. E un caffè oggi si potrà prendere? Corri a scartabellare il manuale Cencelli dei divieti, cui si aggiungono ogni settimana nuove fattispecie: dalla «zona gialla rafforzata» alla agognata «zona bianca», cioè tutto aperto se c’è indice Rt sotto 0,5%.
a davvero dobbiamo continuare a vivere come se fossimo tutti scienziati anche per andare a comprare un maglione più pesante, che quest’anno l’inverno s’è incattivito?
Il problema è sempre lo stesso: avere il coraggio di fare la cosa giusta al momento giusto. A partire dalla fine del primo lockdown si è troppo cincischiato con le mezze regole, i mezzi divieti, ma i tanti troppi morti.
Questo elemento continuiamo a nasconderlo. Anche nel modo in cui vengono forniti i dati quotidiani sui contagi si preferisce camuffare la verità: prima il numero dei test effettuati in giornata; poi i contagi; poi l’indice Rt, cioè il rapporto fra tamponi eseguiti e nuovi positivi; poi i guariti e infine le vittime. A voler essere paladini della verità si dovrebbe invece partire da quest’ultimo numero, perché è la vita umana quella che conta, non l’indice calcolato dall’algoritmo. Questo magari interesserà gli epidemiologi, chi deve organizzare i turni negli ospedali o chi deve predisporre le vaccinazioni. Ma agli italiani bisogna dire subito se la realtà è o no drammatica. È la morte di una persona che getta le famiglie nel dolore, non l’indice Rt, questa è roba da esperti. Noi gente comune abbiamo solo bisogno di sapere con chiarezza cosa e come fare.
Questa indecisione totale, questa ipocrisia sostanziale, questi eufemismi per il consenso raggiungono l’apice quando si parla della scuola. In presenza, in remoto, a libera scelta, la confusione regna sovrana. Alunni, docenti e presidi come biglie di vetro nella mani di un ragazzino. Da una parte le esigenze della sicurezza, dall’altra le teorie pedagogiche; da una parte i genitori che non sanno come portare (e andare a riprendere) i figli a scuola in orari diversi, dall’altra i mezzi pubblici che non bastano; da una parte mascherine e distanziamento, dall’altro l’energia giovanile che non riesce a stare ingabbiata, a frenare un bacio, un abbraccio, una carezza.
Sono cento contraddizioni difficili da risolvere e cento problemi diversi, certo, ma in Italia non si riesce a risolverne neppure uno. È impossibile la didattica in presenza? Bene, lo si dica una volta per tutte: fino alla fine dell’anno scolastico si andrà avanti con la tanto odiata Dad. Sarà un errore pedagogico, sarà un vulnus al corretto sviluppo dei nostri ragazzi, ma sarà una certezza preferibile all’attuale festival dell’improvvisazione. Al contrario, si ritiene che non ci siano pericoli? Allora scuole aperte per tutti, ovunque e fino a giugno. Governare significa prima di tutto assumersi responsabilità, sporcarsi le mani e talvolta la coscienza, non cincischiare per non compromettersi e poter restare sepolcri imbiancati.
Da ultimo la farsa della politica. Se i teatri da tempo sono chiusi, il teatrino della politica è più forte del Covid e resta sempre aperto. C’è una crisi di governo che però non c’è. C’è un alleato che minaccia di uscire dalla maggioranza, ma non esce, anzi forse punta solo ad avere un peso maggiore. Allora che si fa? Nuovo governo, che per tre quarti sarà quello vecchio. Premier il solito professor Conte: come l’abito in fresco lana, buono per tutte le stagioni. Poi giro di poltrone tra ministri e amici del cerchio magico, per accontentare qualcuno più sgomitante degli altri, e si riparte tirando avanti alla giornata e aggiornando solo gli elenchi di portaborse, faccendieri e portavoce dei ministeri secondo le collaudate procedure dello spoil system (in Italiano: oggi a me, domani a te). Mentre il Paese si arrangia come può. Poi ci si lamenta e ci si indigna per la pletora di furbetti di ogni risma. Ma si può, quando i primi furbetti stanno nel Palazzo?
Dovevamo essere tutti più buoni dopo il Covid di primavera, siamo diventati tutti più stanchi, esasperati, sfiduciati. Ma soprattutto delusi: perché il virus non molla, perché i sacrifici non bastano, perché abbiamo la sensazione di vivere in una nuova Babele, dove non sono confuse le lingue, ma le idee. A proposito qualcuno si decida ad aggiornare le rubriche di giornali, tv e siti web: dopo il segno zodiacale del giorno, il santo del giorno, i nati illustri del giorno, si inserisca anche il colore del giorno. Sarà utile a tanti, magari anche ai nostri governanti.
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