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L'editoriale
Giuseppe De Tomaso
26 Novembre 2020
Se finora le opinioni degli esperti erano attese con più trepidazione dell’oracolo di Delfi, nelle prossime settimane, quando dall’invocazione del vaccino si sarà approdati alla somministrazione del medesimo, le parole dei sapienti avranno un valore doppio, triplo. Specie in un Paese, come l’Italia, in cui il tasso di diffidenza nei confronti dei vaccini, e di tutte le scoperte scientifiche, è alquanto diffuso, perché diffuso è il pregiudizio contro il sapere mentre dura a morire è l’idea che dietro qualsiasi accadimento tipo pandemia si nasconda il solito complotto, l’immancabile disegno di una Spectre degna di un film di James Bond.
Certo, la diffidenza, come rileva il professor Silvio Garattini, spesso è alimentata dalla scarsa trasparenza, di conseguenza è fondamentale che si passi sùbito dai comunicati stampa, cioè dalla propaganda, ai dati ufficiali, alla pubblicizzazione dei risultati concreti ottenuti nelle sperimentazioni degli antidoti anti-Covid.
Nel frattempo, però, sarebbe opportuno che l’intera comunità scientifica corregga il tiro, si dia una regolata, soprattutto sul piano del linguaggio e delle prestazioni mediatiche.
Finora le contrapposizioni televisive tra epidemiologi, virologi eccetera non hanno contribuito a rasserenare gli animi o a fare chiarezza nell’opinione pubblica. Incredibilmente, si sono riprodotte sullo schermo le divisioni «ideologiche» che caratterizzano le trasmissioni politiche, tanto che gli esperti più rigoristi sulle misure anti-virus sono associati alla sinistra mentre quelli più aperturisti sono catalogati nella destra. Eppure la scienza, come il credito, non può né deve essere né di destra né di sinistra. «Le verità scientifiche - avvertiva lo scienziato Galileo Galilei (1564-1642) - non si decidono a maggioranza». «La scienza è solo conoscenza organizzata», sintetizzava da par suo il filosofo Immanuel Kant (1724-1894).
Purtroppo le parole non sono neutre né neutrali, soprattutto quando vengono miscelate per cocktail finalizzati a un soddisfacimento di parte. Una comunità scientifica attenta alla credibilità del proprio operato dovrebbe esprimersi solo per atti formali, ossia attraverso la rendicontazione, riconosciuta da tutti, delle proprie ricerche e scoperte. Ma nell’era dei social e della comunicazione ossessiva, sarebbe come pretendere che una partita di calcio fosse trasmessa in tv senza la voce e il commento dei telecronisti. Impossibile. Di conseguenza, anche la scienza non può sfuggire al pericolo della banalizzazione, della mistificazione, della sovversione del messaggio. Il palcoscenico videcratico, poi, è più allettante di un’alcova ben titolata, per chiunque abbia modo di avvicinarsi (e, a seguire, si guarderà bene dall’allontanarsene).
Il banchiere Enrico Cuccia (1907-2000) amava ripetere che scappare con la cassa è peccato veniale, ma parlare è peccato mortale. Ripetiamo.
Nessuna pretesa eremitica nei riguardi degli scienziati, ma i concetti da loro espressi, innanzitutto di fronte alla vasta platea televisiva, hanno un’eco speciale, hanno un peso straordinario, di gran lunga superiore al peso che avrebbero se fossero pronunciati in un club ristretto o davanti al cenone di Natale. Le loro parole, quando scatta la ribalta televisiva, andrebbero ponderate e misurate una per una, dal momento che il rischio dell’equivoco, del fraintendimento, è tutt’altro che ipotetico. Anzi. Basta un nonnulla, basta pure un’espressione del viso, oltre che un involontario lapsus concettuale, per creare malintesi in chi ascolta e per alimentare credenze, superstizioni. Della serie: non ci si pentirà mai di aver taciuto, ma sempre di aver parlato (Voltaire, 1694-1778).
La questione del linguaggio, della sua declinazione, della sua divulgazione è destinata a diventare cruciale nell’immediata vigilia del piano di vaccinazioni. È essenziale che la tv non si trasformi in un’arena tra favorevoli e contrari. È basilare che la voglia di share non ecciti gli animi e le folle. Ma perché ciò si verifichi è imprenscindibile che la comunità scientifica non si divida in guelfi e ghibellini e non ridia lo spettacolo (condito di diverbi ora plateali ora velenosi) andato in onda in questi nove mesi. Ne andrebbe dell’intera manovra di contrasto anti-virus, ne andrebbe dell’esito del programma di immunizzazione generale scaturito dalla fabbrica di uno o più vaccini.
Prima e più che la classe politica, sarà la classe medica a recitare la funzione di guida, pedagogica e razionale, nella risposta da parte dei cittadini ai ritrovati della scienza contro la pandemia. Guai a rovinare tutto per colpa della proverbiale, tradizionale tendenza italica a dividersi in frazioni e fazioni.
Il partito dei no vax in Italia è ancora attivo e vegeto, nonostante le previsioni di quanti lo davano per eclissato, dopo lo sbarco del virus arrivato dalla Cina. Gli scienziati facciano in modo, evitando le risse mediatiche, di portare acqua al loro mulino di paure ancestrali. Sarebbe la condanna a non uscire mai dal tunnel di un’epidemia ancora più grave: rifiutare, ripudiare la scienza. Per favore, il Medio Evo no.
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