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Se Natale diventa l’unico vaccino già disponibile

 
Michele Partipilo

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Michele Partipilo

Natale 2016 a via Sparano

la via dello shopping senza luci di Natale

L’emergenza Covid potrebbe far saltare la festa più sentita dell’anno e che si traduce anche nella più redditizia dal punto di vista economico

Sabato 21 Novembre 2020, 15:18

Il tema Natale è entrato con prepotenza nelle cronache di questi giorni. L’emergenza Covid potrebbe far saltare la festa più sentita dell’anno e che si traduce anche nella più redditizia dal punto di vista economico. Ecco allora la corsa a evitare chiusure nelle prossime settimane, gli appelli a non lasciarsi andare come durante l’estate, le richieste a dribblare cenoni e abbracci. Insomma fate come se Natale non fosse Natale. Ma sarà possibile? E sarà sufficiente a farci superare un inverno che si prospetta «durissimo»?
Domande cui è difficile rispondere in maniera seria e ponderata. La pandemia ha mostrato quanto siamo fragili e quanto la vita possa essere imprevedibile. Quasi a rafforzare il vecchio motto latino «carpe diem». E forse è stata proprio questa voglia di godersi l’attimo che l’estate scorsa ci ha portati a rovinare tutto, visto che non è successo solo in Italia ma un po’ ovunque e quindi – al di là di nostre manchevolezze più o meno rilevanti – cercare di riprendere le vecchie abitudini è stata una reazione spontanea e generalizzata. Se così è, allora sarà difficile che le prossime festività saranno ascetiche come predica il premier Conte.

Non è facile irreggimentare la voglia di libertà, soprattutto dopo mesi di isolamento, di privazioni, di gesti negati e di affetti congelati. Certo, sarebbe da irresponsabili lasciarsi andare al punto da provocare una terza ondata, però non si può pensare agli italiani come a soldatini ubbidienti. Neppure gli algidi e disciplinati tedeschi hanno saputo sottrarsi al secondo schiaffo della pandemia. Allora bisognerà fare in modo di gestire la situazione.
La comunicazione potrebbe aiutare molto. Oggi siamo frastornati dai dati e dalle loro interpretazioni. Troppe fonti con patente di legittimità: l’Istituto superiore di sanità, il ministero della Salute, il Consiglio superiore di sanità, il Governo, il commissario per l’emergenza, l’Oms e vari quotati istituti di ricerca. Ciascuna di queste fonti fornisce cifre, analisi e prospettive che spesso sono molto divergenti. Senza contare che ogni dato apre le porte alle esegesi di quegli esperti che, grazie al Covid, sono diventati le nuove star della tv. Anzi, bisognerebbe chiedersi come mai Sanremo lo presenti ancora Amadeus e non Arcuri o perché Porta a Porta lo conduca ancora Vespa e non Brusaferro. Ma pur essendo in tanti e con impressionanti curriculum scientifici, nessuno di loro è riuscito a riscuotere dagli italiani la fiducia necessaria a far cambiare abitudini consolidate o a farcene assumere di nuove, come l’uso della mascherina o il lavaggio frequente delle mani. La democrazia va bene in politica, ma la scienza – soprattutto quando è in trincea – deve dare risposte chiare e univoche. «Il vostro parlare sia sì, sì; no, no», si legge nel Vangelo di Matteo. Se questo è quanto si chiede a un uomo retto, a maggior ragione la scienza che pure procede per congetture e confutazioni, quando comunica deve essere chiara, magari ammettendo anche di non sapere. Ora, per esempio, si è aperto un altro fronte: vaccino sì, vaccino no, nato dopo qualche incauta affermazione da parte di chi è esperto di virus ma non conosce le insidie mediatiche.

Le conseguenze sono deleterie e, come accadeva per il calcio, accanto a 60 milioni di Ct che conoscono il segreto per una Nazionale infallibile, abbiamo oggi anche 60 milioni di infettivologi, epidemiologi, biologi e ricercatori vari. La scienza comincia a trasformarsi in opinione e questo è molto pericoloso, perché alla fine nessuno sarà credibile fino a riuscire a ottenere i comportamenti richiesti. Di qui la necessità di Dpcm (altro virus pericoloso) sempre più prescrittivi e dettagliati e sempre più carichi di divieti, sanzioni, minacce.

Non ce ne rendiamo ancora conto, ma è in atto una metamorfosi da Covid. Il virus ci sta modificando dentro, sovvertendo rapporti umani, abitudini, tradizioni e intervenendo su ogni spicchio della vita. Così come la scienza deve ancora studiarlo e capirlo, allo stesso modo la società deve riuscire a stabilire una convivenza possibile. Non a caso sta fiorendo una pubblicistica che cerca di analizzare sotto ogni profilo l’impatto della pandemia sull’uomo. Si tratta ancora di sensazioni, esperienze, semplici racconti in cui però si possono intravedere le condizioni future di vita. Vi sono aspetti già abbastanza evidenti come l’impatto del telelavoro, le nuove forme di commercio e servizi, il ritorno dei piccoli esercizi che non presentano l’handicap degli assembramenti negli ipermercati, dei trasporti meno di massa, l’accelerazione del web.

L’elenco è lungo perché è la vita che sta cambiando, sotto ogni aspetto. È come se il Covid19 avesse spezzato il filo della vicenda umana per riannodarlo e tenderlo in un’altra direzione. Non capiamo ancora quale, per questo ci rifugiamo nelle nostre piccole certezze: in estate furono le vacanze, ancorché in Italia; oggi è Natale, con tutto il corollario di vera o finta religiosità, con le luci, gli sfarzi, gli eccessi, il buonismo di circostanza. Natale è la meta che ci serve per continuare a sperare e forse a illuderci che tutto tornerà come prima, magari con il vaccino. Anzi, per ora l’unico vaccino già disponibile è proprio questa festa che, manco a farlo apposta, ricorda uno strappo di duemila anni fa – ben più profondo – nel mistero della vicenda umana.

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