Possiamo aspettare i 209 miliardi del Recovery Fund come la manna dal cielo. E poi, augurarci che venga realizzata almeno una parte delle infrastrutture che il Sud reclama legittimamente da anni: strade, autostrade, porti, aeroporti, reti ferroviarie ad alta velocità e soprattutto la banda ultralarga per Internet veloce. O nel frattempo, possiamo preparare il terreno per renderlo più fertile, in modo da sfruttare al meglio questa occasione storica e irripetibile, in particolare per il riscatto del Mezzogiorno. Nel suo celebre discorso d’insediamento alla Casa Bianca (1961), John Fitzgerald Kennedy ebbe il coraggio di dire agli americani: “Non chiedete che cosa il vostro Paese può fare per voi, ma che cosa potete fare voi per il vostro Paese”. Ecco, in attesa dei fondi europei, noi cittadini meridionali dobbiamo chiederci che cosa può fare il Sud per il Sud.
Vale a dire come possiamo provare a emendarci da qualcuno dei nostri vizi e difetti: l’assistenzialismo, il parassitismo, il clientelismo, la corruzione, l’omertà e la criminalità organizzata. Quella “mentalità meridionale”, insomma, che ci viene spesso rimproverata con una generalizzazione inaccettabile come se fosse un fattore genetico o una tara ereditaria. E invece è un pregiudizio negativo nei nostri confronti che sfregia l’immagine del Sud e ne compromette l’affidabilità.
In vista del Recovery Fund, dunque, anche noi siamo chiamati a fare la nostra parte. S’intitola più precisamente “Next Generation” il piano finanziario predisposto dalla Commissione europea. Un piano che guarda al futuro, alle nuove generazioni, quelle dei nostri figli e nipoti. Alla transizione ecologica e a quella digitale. Noi abbiamo tutto il diritto di pretendere i nostri diritti di cittadini, tranne quello di continuare a lamentarci con il piagnisteo sterile e impotente dei sudditi. Né tantomeno di cercare sempre un alibi per giustificare la trasgressione delle regole, le nostre colpe e i nostri ritardi.
La prima rivendicazione, dunque, può essere quella di avere una classe dirigente – politica, economica e intellettuale - all’altezza della situazione. Amministratori capaci e onesti. Parlamentari in grado di rappresentare degnamente le esigenze e le istanze del Sud in funzione dell’interesse generale, al di là delle appartenenze di partito o delle logiche clientelari. E questo dipende in larga misura da noi, dalle nostre scelte, dai nostri voti, attraverso la libera e consapevole espressione del consenso elettorale. Ma dipende anche dalla disponibilità degli imprenditori e degli intellettuali a mobilitarsi per cavalcare l’onda favorevole del Recovery Fund come fanno i “surfisti” restando in piedi sulle loro tavole.
Il Mezzogiorno deve diventare poi più attrattivo, per richiamare dall’esterno risorse economiche e umane: a cominciare da tanti giovani di valore che sono andati a studiare o a lavorare al Nord o all’estero e in parte sono tornati a casa in seguito all’emergenza sanitaria. Ora bisogna farli restare. Ma evidentemente lo sgravio del 30% sui contributi pensionistici non basta, occorre una riduzione permanente del cuneo fiscale. I fondi europei, più che spesi, devono essere investiti innanzitutto per creare nuova occupazione e riqualificare quella superstite. Il lavoro, su cui è fondata la Repubblica come recita l’articolo 1 della Costituzione, è vita e dignità sociale.
Questo è anche l’antidoto più efficace per contrastare il virus della criminalità più o meno organizzata, con tutto il giro del malaffare, dell’illegalità e della corruzione che alimenta e da cui viene alimentata. Chissà quanti manovali delle mafie che allignano come la gramigna nelle regioni meridionali preferirebbero un lavoro pulito, regolare, equamente ricompensato, piuttosto che arruolarsi in un esercito clandestino per compiere scippi, furti, rapine, sfruttare il sesso a pagamento o contrabbandare droga, armi, uomini e donne. Ciò non toglie, ovviamente, che la risposta di polizia resta affidata in primo luogo alla magistratura e alle forze dell’ordine, impegnate quotidianamente in prima linea.
C’è infine l’ambiente, inteso qui nel senso più ampio di habitat naturale e culturale, da salvaguardare e valorizzare. È il più grande patrimonio di cui il Mezzogiorno può disporre: dal sole al vento; dal mare alla campagna; dalla ricchezza dei nostri paesi ai monumenti, ai castelli, alle chiese e alle masserie sparse sul territorio; dalle università ai musei e ai teatri. Basti pensare allo sviluppo delle energie alternative, al turismo, al boom dell’agricoltura biologica, alla produzione eno-gastronomica. Il Sud rappresenta un marchio di qualità sul mercato internazionale.
È insomma la nostra identità di meridionali che dobbiamo innanzitutto recuperare e difendere. L’orgoglio di essere pugliesi e lucani. La fierezza di discendere da un’antica civiltà contadina che nel corso dei secoli è diventata mercantile e industriale; e oggi aspira a diventare post-industriale, per proiettarsi nella dimensione digitale e competere alla pari con il resto d’Italia in uno spirito di coesione nazionale.
“Nego assolutamente – asseriva ai suoi tempi lo storico pugliese Gaetano Salvemini – che il ‘carattere’ dei meridionali diverso da quello dei settentrionali abbia alcuna parte nella diversità di sviluppo dei due paesi”. E aveva perfettamente ragione. La “razza”, spiegava lui stesso, si forma nella Storia ed è un effetto piuttosto che una causa. Ma è proprio questa storia che oggi dobbiamo cercare di cambiare, con le nostre forze e con la solidarietà dell’Europa, per uscire dalla “terra del pianto” e sanare definitivamente le “piaghe” antiche del Mezzogiorno.