Lunedì 08 Settembre 2025 | 10:43

Una città in amore

 
Carmela Formicola

Reporter:

Carmela Formicola

Una città in amore

Le bandiere ai balconi, in centro come in periferia, gli striscioni, il tifo che torna e proietta l’intera città nell’attesa di questa sera, quando alle 20.45, sul campo di Reggio Emilia, gli uomini di Vivarini proveranno il grande salto in serie B

Mercoledì 22 Luglio 2020, 13:06

Ci si innamora del calcio come ci si può innamorare di un uomo o di una donna, «improvvisamente, inesplicabilmente, acriticamente, senza pensare al dolore o allo sconvolgimento che tutto ciò porta con sé».   È una frase di Nick Hornby, scrittore britannico folgorante, autore tra l’altro di «Febbre a 90», laddove il 90 è l'adrenalinica somma dei 45 minuti, il primo e il secondo tempo. Il palpito, l’ansia, il fiato sospeso. La rabbia, la gioia, l’urlo. Il calcio, insomma.

Qualcosa di divinamente epidermico, di irrazionale e seduttivo. Come spiegheresti il risveglio dell’entusiasmo che ha colorato d’improvviso Bari di biancorosso? Le bandiere ai balconi, in centro come in periferia, gli striscioni, il tifo che torna e proietta l’intera città nell’attesa di questa sera, quando alle 20.45, sul campo di Reggio Emilia, gli uomini di Vivarini proveranno il grande salto in serie B.

Crediamo in questa impresa doppiamente, perché ci riporta allo scompiglio della leggerezza dopo mesi di angoscia e di clausura, dopo un tempo in cui tutto è sembrato irrimediabilmente sospeso e forse perduto.  Crediamo in questa scommessa romanticamente, come il lietofine possibile di Ed Horton: come non leggere tra le righe del suo racconto «Scomparire?» la stessa recente vicenda biancorossa? Il crac finanziario dell’Oxford United, la stagione è il 91/92, la squadra nel baratro, i suoi migliori giocatori venduti, l’amarezza sociale. Eppure la salvezza, nonostante un campionato disastroso. L’orgoglio, il cuore, il miracolo.

Questo sperano i baresi, anche quelli che non hanno mai messo piede al San Nicola o che non hanno ben idea di cosa siano il club, il gioco e l’intricato mondo del pallone. Un mondo strano, il business ma anche l’appartenenza  che solo lo sport sa dare, con i suoi colori e la sua storia secolare, la liturgia del tifo. Rituale. Superstizione. Certo, in questa stagione post Covid gli stadi rimangono  vuoti di tifosi, viene meno quella che Zeman chiamava la parte più bella: «dovrebbero essere i giocatori a pagare il biglietto» per lo spettacolo sugli spalti. D’altronde anche Albert Camus si produsse in un’ardita metafora della felicità maschile, che pure coincideva con l’assistere a una partita di calcio all’interno di uno stadio.

Ma lo spettacolo è già il ritorno a quella dimensione ludica che andiamo riassaporando anche solo nel darci appuntamento - in un club di tifosi, a casa di amici, dinanzi a una qualsiasi tivvù di fortuna - nella speranza di festeggiare il ritorno in serie B. Sarà in ogni caso un rito collettivo, in questa serata calda di luglio, ricorderemo il nostro ritrovarci come quella sera di due anni fa, allo Stadio della Vittoria, antica memoria biancorossa, quando della squadra sembravano rimaste soltanto le ceneri. E invece continuiamo a esistere. E a sperare. E a emozionarci come la Compagnia dei Celestini nel campionato di pallastrada.

Esiste infine una metafora? Qualcuno in controluce nei fasti di una squadra di calcio intravede la proiezione di una città, il suo potenziale economico, il potere aggregante, le sue fortune. La parabola del Bari, nel bene e nel male, è anche quel modo barese di insistere, di criticare ma perseverare. Di guardare avanti. Comunque.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)