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La fase 2 del Governo e la fase dei partiti

 
FRANCESCO GIORGINO

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FRANCESCO GIORGINO

La fase 2 del governo e la fase dei partiti

Un'attenta analisi che evidenzia per ciascun soggetto e partito almeno un paio di obiettivi da perseguire

Lunedì 04 Maggio 2020, 14:48

Pronti, (ri)partenza, via. Da oggi proviamo a convivere con il virus. Proviamo, ma non è detto che ci riusciamo. Dipende da come interpretiamo e attuiamo le nuove disposizioni.

Da oggi riprende la gran parte delle attività industriali: dall’automotive alla moda, dal tessile all’edilizia. Tornano al lavoro quasi quattro milioni e mezzo di italiani, più della metà dei quali al Nord. Da oggi si allentano alcune restrizioni. Sarà possibile uscire da casa e muoversi più di quanto sia stato possibile farlo finora. Sarà possibile incontrare i parenti, anche se solo nelle regioni in cui si vive. È quella che il governo chiama Fase 2.

Non è un “liberi tutti”. Sono molte infatti le analogie con la Fase 1, ma con un’aggravante: all’emergenza sanitaria si associa quella economica. Conte e Speranza rivendicano l’efficacia del proprio modus operandi, che con un acronimo potremmo definire PAT. Un metodo costruito intorno alla triade “proporzionalità-adeguatezza-tempestività”. Tre sostantivi assai impegnativi in quanto a portata semantica, il cui uso non convince un pezzo di maggioranza, larga parte dell’opposizione, il mondo delle imprese e delle partite Iva. Adeguatezza rispetto a cosa? Proporzionalità rispetto a quali parametri? Tempestività rispetto a quali ambiti? Al premier va riconosciuto, almeno nella Fase 1, il merito di aver guidato l’azione di contrasto al contagio in modo da ridurre progressivamente il numero di vittime e malati.

La sua logica è stata la seguente: le decisioni politiche vanno subordinate alle evidenze empiriche così come segnalate e spiegate dalla scienza. Logica che gli è costata molte critiche. Al PAT si sta contrapponendo da giorni un altro metodo che possiamo denominare “DOR”, ovvero “differenziazione-operativa-regionale”. Secondo questo principio, i provvedimenti vanno modulati in base alle specificità dei singoli territori, incrociando una serie di variabili socio-demografiche e sanitarie e utilizzando ventuno indicatori elaborati con l’intento di monitorare e mappare i rischi. Intanto, però, infuria la polemica tra centro e periferia, dopo la decisione del governo di impugnare l’ordinanza della regione Calabria.

La fase 2 prende il via, dunque, in presenza di un quadro molto problematico: prodotto interno lordo in picchiata (siamo già a -5), rapporto deficit-Pil intorno al 160%, disuguaglianze sociali acuite dalle differenze esistenti tra lavoro dipendente (specie pubblico) e lavoro autonomo, ritardi nei pagamenti della cassa integrazione in deroga e nell’erogazione dei bonus, difficoltà nell’immissione da parte delle banche di liquidità nonostante la garanzia dello Stato, non operatività del Recovery Fund. Da un lato c’è chi vuole “più Stato” e dall’altro chi, più semplicemente, rivendica solo “miglior Stato”, riducendo anzitutto il peso della burocrazia. Ritardi ci sono anche nella gestione sanitaria (tamponi e test seriologici) e nell’entrata in funzione dell’app sul contact tracing.

La fase 2 del Governo corrisponde anche alla fase 2 della politica? Proviamo a fare un’analisi che evidenzi per ciascun soggetto e partito almeno un paio di obiettivi da perseguire. Cominciamo con Conte. Il premier ha due propositi: scongiurare la formazione di un governo di unità nazionale che lo metterebbe fuorigioco anzitempo ed arrivare alla conclusione della legislatura; affrontare la pandemia in modo da potersi giocare alternativamente la carta dell’uomo delle istituzioni pronto ad incarichi ugualmente o più prestigiosi, oppure quella di leader di un nuovo partito di centro. Il Movimento Cinque Stelle, quasi specularmente, coltiva anch’esso due fini: conservare il proprio potere, sapendo che difficilmente potrà riproporsi la congiuntura favorevole del marzo 2018, nonostante i sondaggi diano il partito di Di Maio in risalita; appoggiare il governo Conte, ma senza rinunciare a quel disegno tripolare che è stato il principale motivo della sua fondazione, inizialmente in chiave anti-sistema. Due le aspirazioni anche della sinistra e del Pd. Da un lato continuare a governare in conformità ad un disegno politico tutto incentrato sulla volontà di impedire che il governo andasse nelle mani delle destre. Dall’altro crearsi, proprio grazie alla figura di Conte, un doppio sistema di valutazione che consenta di far cadere la responsabilità di alcune scelte scomode (anche se necessarie) sulla parte tecnica della compagine governativa ed assumere una postura più politica nell’affrontare le questioni che richiedono un approccio a medio-lungo termine. Non è un caso che i capigruppo Dem di Senato e Camera abbiano manifestato posizioni critiche. Due sono le finalità anche dell’azione di Renzi: ritagliarsi un ruolo nella speranza di crescere nei consensi e nel contempo assumere qualche iniziativa politica (in tal senso la proposta di un governo a guida Zingaretti, Franceschini o Guerini); acquisire potere contrattuale in vista delle modifiche da apportare alla legge elettorale, sperando in uno scompaginamento del quadro politico.

Veniamo ora alle opposizioni. Cominciamo con Berlusconi. Il suo intento da una parte è quello di non far sparire Forza Italia dando alla sua creatura politica una ragione sociale non solo dentro la metà campo della minoranza, ma anche al di fuori di essa. Dall’altra è quello di tutelare gli interessi delle proprie aziende, a maggior ragione in un contesto di profonda trasformazione economica, sociale e tecnologica. Non è un caso che egli si muova a metà strada tra la manifesta non ostilità a Conte e la disponibilità a concorrere alla formazione di un esecutivo di unità nazionale. Anche Giorgia Meloni ha due obiettivi: logorare l’attuale governo provando a dimostrare che la coalizione di destra-centro è l’unica alternativa valida; far crescere elettoralmente Fratelli d’Italia sull’onda lunga dell’empatia già manifestata nei suoi confronti. Concludiamo con Salvini, che oggettivamente gioca il ruolo più delicato. Nonostante la flessione segnalata dai sondaggi, egli è il capo del primo partito italiano, stando ai voti delle ultime elezioni. Un partito il suo passato in pochi anni dal 4 ad oltre il 30%. Egli si muove in una doppia direzione: forgiare il centrodestra a sua immagine e somiglianza, sfruttando il fatto che la Lega amministra regioni importanti al Nord; potenziare la propria leadership, puntando a diventare punto di riferimento anche al Centro e al Sud e schivare il pericolo di un travaso di voti dentro l’area dell’opposizione. Proprio per questo, non gli è concesso di sbagliare nemmeno una mossa.

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