Quando tutto questo caos del contagio da coronavirus sarà finito, qualcuno dovrà fare i conti non solo dei danni (economici e sociali) scatenati in Italia dalla pandemia in questi mesi, ma anche di quelli provocati dalla riforma del Titolo V della Costituzione. Perché, con tutto il rispetto per le Bicamerali, i riformatori e gli studi dei costituzionalisti che si sono cimentati, dal 2001 in poi il Paese dei mille campanili è letteralmente impazzito. Non desti meraviglia, dunque, la sfuriata del presidente dell’Anci Decaro contro i presidenti di Regione, rei di andare ognuno per conto suo rispetto alle prescrizioni del Governo centrale.
Non meraviglino le insurrezioni dei parlamentari di opposizione contro il decisionismo dell’Esecutivo, con tanto di «occupazione» delle Camere e proteste davanti a Montecitorio. Non meraviglino - insieme ai litigi tra i sindaci e i governatori - quelli, a loro volta, tra i presidenti delle Regioni, che ora passano a suonarsele l’un contro l’altro nella canonica guerra tra Nord e Sud sulla gestione delle risorse destinate all’emergenza.
La verità è che da 19 anni siamo in pieno conflitto istituzionale: non c’è giorno che passi che non vi sia una norma regionale impugnata dal Governo, non c’è settimana che passi che non vi sia qualche sentenza dell’Alta Corte che ora dà ragione agli enti locali, ora all’Esecutivo centrale. E non c’è anno che passi che non spunti qualche referendum per decidere questo o quello contro le norme nazionali che i territori vogliono “impugnare” nella pubblica piazza. E, per favore, non chiamiamola democrazia se, alla fine, ogni volta che succede una calamità naturale (il terremoto de L’Aquila), il servizio sanitario regionale non regge o i rifiuti scoppiano bisogna nominare un commissario straordinario! La pandemia ha fatto emergere il vero virus del nostro Stato democratico, la Repubblica fondata sui cacicchi: quelli che se il premier fa decreti d’urgenza per rinviare le aperture, provano ad anticiparle.
Quelli che se il presidente della Regione prova ad anticiparle, provano a rinviarle nel proprio Comune. Quelli che se il Municipio a un chilometro di distanza dice di chiudere gli accessi, li tengono aperti a tutto il mondo. Ordinanze regionali, decreti nazionali, delibere comunali: un gran daffare per una burocrazia impazzita, ubriaca di perenne campagna elettorale, inebriata dai poteri che le urne assegnano ad ogni giro elettorale e che la nostra amata Costituzione provava a recintare nei perimetri della divisione e dei contrappesi.
Ecco, se un barlume di speranza ci lascia questo tragico e improvviso cambiamento epocale imposto da un pipistrello cinese o da una provetta di laboratorio “scappata” in qualche parte del mondo, è proprio questo: quando l’emergenza sarà finita, le nostre istituzioni forse si convinceranno che è l’ora di finirla a marciare ognuno per sé suonando la campana del proprio “orticello” di potere. Se non si convinceranno, aspettiamoci altri 19 anni di perenne conflitto tra i caicchi che plaudono al beneamato (e vituperato) federalismo all’italiana.
Bepi Martellotta