Oltre un centinaio i medici che già hanno perso la vita a causa del Coronavirus. Sono tanti, troppi. Ma anche se fossero stati solo la metà, solo dieci, solo uno, il vuoto che avrebbero lasciato nelle famiglie o tra i colleghi sarebbe stato enorme lo stesso. In questa sciagura planetaria corriamo tutti il rischio di diventare un po’ cinici e di fermarci a ragionare solo con i numeri. Ieri altri 570 morti per il virus, è stata presa come una «buona notizia». Sul Corriere della sera una lettrice ha scritto che «i numeri hanno il potere di appiattire il dolore. Parlano alla testa, diventano subito alibi e statistiche. Come fai a sentire con il cuore quanto è grande un numero?». È terribilmente vero.
Però i numeri possono aiutare a sperare e a capire. Ogni giorno, quando arriva l’appuntamento con il capo della Protezione civile, siamo tutti lì ad ascoltare e a sperare. Quei numeri sciorinati con calma in qualche modo «parlano». Non si fermano a dire soltanto quel che è successo in giornata, ma lavorati da fisici, matematici ed epidemiologi, diventano una preziosa indicazione sul futuro. Capiamo così se la fine di questo incubo si avvicina o se è ancora troppo lontana.
A loro modo i numeri possono suscitare speranza o delusione. I numeri possono spiegare il passato. Dirci perché in Italia tanti morti in più rispetto ai contagiati. Ci sarà il tempo per analisi approfondite, per trovare gli errori e magari anche le colpe e i colpevoli. Dovranno dirci perché muoiono tanti medici, insieme con tanti infermieri e tantissimi altri restano contagiati. Ci deve essere qualche cosa che non va. L’unica causa non può essere l’iniziale carenza di mascherine, guanti e camici. Questo è stato certo un fattore determinante, dovuto alle sciagurate politiche mirate a far quadrare i conti piuttosto che a garantire la salute.
I primi tagli che i dg hanno imposto con orgoglio nelle Asl sono stati alle scorte: no a materiali e farmaci ammassati nei depositi, quando servono si comprano e il giorno dopo arrivano. In tempi normali, non quando il mondo resta impallato da un virus maligno.
Ma se la carenza di dispositivi di protezione – i famosi Dpi – ha pesato, non può essere l’unica causa. Bisogna chiedersi se nei protocolli adottati non ci sia stata una falla. La realtà che si va delineando è che – soprattutto al Nord – troppi focolai sono nati e si sono sviluppati negli ospedali, nei luoghi cioè che dovevano essere i più protetti e sicuri e che fra i troppi medici morti ci sono anche molti che in ospedale non ci sono mai entrati, come medici di famiglia e dentisti. Perché?
A tacitare le coscienze e il bisogno di verità non può bastare il pubblico, corale, entusiastico omaggio quotidiano a medici e infermieri. Non può bastare la copertina di «Times» dedicata a un anestesista italiano. È vero, sono eroi e i loro sacrifici li abbiamo davanti agli occhi in ogni momento. Gli eroi però meritano rispetto, perché incarnano i valori in cui ci riconosciamo, perché sono in qualche modo un ponte con il Cielo. «Beato il popolo che non ha bisogno di eroi», sentenziava Bertold Brecht e infatti in questo momento non siamo affatto un popolo beato: come potremmo esserlo, con questa vita di paure in cui siamo tutti più soli?
Allora a medici e infermieri dobbiamo innanzitutto la verità. Occorre che qualcuno verifichi e dica se il protocollo, laddove non prevede tamponi per il personale sanitario asintomatico, sia un autogol. Se così fosse, sarebbe stato un agile cavallo di troia per il virus che, alla stregua di Ulisse, sarebbe penetrato con facilità all’interno degli ospedali inutilmente fortificati. Si spiegherebbe così perché proprio là dove c’era la sanità migliore d’Italia, il contagio fra i sanitari sia stato più massiccio e letale: Bergamo, Brescia la stessa Milano, nei cui ospedali ancora oggi a medici e infermieri, che ritengono di essere entrati in contatto con il virus, si negano i tamponi perché risultano asintomatici. Poco distante, nel Veneto, dove pure l’infezione aveva preso un andamento micidiale, il Coronavirus è stato subito contenuto: si è puntato sui tamponi per individuare i soggetti positivi che potevano trasformarsi in inconsapevoli untori. Non tamponi a tappeto per tutti i cittadini, come pure qualcuno chiedeva, non rendendosi conto che non abbiamo laboratori e personale a sufficienza per analizzarli.
Sono bastati – e sarebbero bastati anche altrove – quelli mirati al personale sanitario per dare una brusca virata alla curva della morte.
Oggi piangiamo tanti medici. Giovani, vecchi, alle prime armi o con grande esperienza. Se ne sono andati tutti allo stesso modo, senza un fiore né un saluto. Si sono lasciati dietro occhi senza più lacrime. Basterebbe solo questo per spingere a cercare la verità, a far sì che altri eroi restino vivi, che di eroi morti sono già pieni i libri di storia.