Quella che Karl Popper definiva «cattiva maestra» oggi può diventare la nostra fedele compagna. L’occasione è ghiotta, perché mai come in questi giorni è possibile mettere insieme qualità e guadagni facili. Il filosofo austriaco definiva la televisione «cattiva maestra», non solo per la sua capacità di condizionare, nel bene e nel male i comportamenti di massa, quanto soprattutto per il suo bisogno di essere subordinata alle logiche commerciali dei guadagni e quindi nella pubblicità, affinché il sistema televisivo (inteso come impresa) potesse rimanere in piedi. Coloro che in queste settimane stanno riprogrammando i palinsesti televisivi stanno giocando un ruolo fondamentale nella vita di milioni di italiani rinchiusi in casa. La tv deve leggere in questo momento di crisi la sua grande occasione di riscatto. Un’occasione che, a essere sinceri, interessa un po’ tutti i media tradizionali, tanto la televisione quanto anche i quotidiani, tornati a essere il luogo privilegiato della qualità dell’informazione e dell’approfondimento, strumento di contrasto alla lotta a quelle fake news contro le quali molto lentamente acquisiremo una sorta di immunità di gregge. Ma ci vorrà ancora molto tempo prima di acquisire l’immunità alle false notizie.
Ecco che torna così di estrema attualità la necessità di una “patente” per fare tv, proprio come proponeva Karl Popper. Il vecchio modello della televisione generalista svolgeva la stessa funzione della torre dell’orologio di rinascimentale memoria.
Ne scandiva il tempo, il fisiologico bioritmo umano, organizzava le giornate e persino gli umori. Il carosello serale era l’ultima concessione prima di andare a letto, in un clock di abitudini che si ripeteva ogni giorno.
Per la mia generazione, per esempio, non c’è mai stato bisogno del rimprovero della mamma per sapere quando era arrivato il tempo di fare i compiti, ci pensavano la fine dei cartoon del pomeriggio a segnare il passaggio dal momento del piacere a quello del dovere.
Mai come in questi giorni c’è un potenziale di pubblico televisivo paragonabile solo alla finale dei mondiali, da spartire sulle diverse reti. Tutto questo ogni sera e ogni giorno così, ormai da qualche settimana e per altre ancora. Un’occasione irrinunciabile per fare grossi guadagni con palinsesti di qualità, con i telespettatori tornati a guardare alla televisione come l’unica finestra affacciata sul mondo.
Fino a qualche settimana fa, il modello della televisione generalista tradizionale aveva fondato nell’infotainment la sua rinnovata cifra stilistica.
A soddisfare esigenze più specifiche, invece, i canali tematici mentre, per i più fortunati, l’offerta proposta dalle pay tv. Lo scoppio dell’emergenza coronavirus ha mandato in crisi questo modello ormai consolidato, con i programmatori dei palinsesti che si sono trovati costretti a cancellare tutto e a reinventarsi. Si sono rifugiati in trincea, timorosi di un più che probabile crollo degli investimenti pubblicitari, proprio nel momento in cui ogni giorno e ogni sera c’è un potenziale pubblico di 60 milioni di italiani. Tutti a far finta che sia arrivata l’estate in anticipo, quando la programmazione televisiva si svuota di ogni avvincente contenuto, proponendo la classica overdose di repliche.
Nessun evento sportivo da tramettere, niente appuntamenti live, studi televisivi privi di pubblico, e costanti improvvisati collegamenti su inaffidabili piattaforme internet che appaiono come un salto nel passato del tubo catodico. Le conferenze stampa del premier Conte sono diventate il massimo del lusso per trascorrere una serata con un po’ di brio, con la tv chiamata a svolgere la funzione della radio nell’epoca buia della guerra, con il focolaio domestico raccolto attorno a essa.
Il modello dell’infotainment, in questi giorni più che mai, richiede un passo indietro, per attualizzare i palinsesti e soddisfare sia il bisogno di informazione pura che quello di intrattenimento. La tv deve aiutare gli italiani a restare a casa, deve aiutarli a scandire le loro giornate, deve offrire l’occasione per imparare qualcosa di nuovo e, in prima serata, deve tornare a regalare dei grandi momenti di svago e intrattenimento di qualità. Deve invogliarci a indossare l’abito buono per sederci in salotto con la famiglia, come se dovessimo uscire di casa, e al tempo stesso garantire informazione di qualità, senza necessariamente intasarne tutti i canali.
Un compito che deve svolgere tanto il servizio pubblico, quanto le tv commerciali, che finalmente possono mettere insieme i bisogni del pubblico e le esigenze degli investitori pubblicitari.
Ne trarrebbero vantaggio anche le loro stesse casse e forse ne sarebbe contento persino Karl Popper.