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Ma non dovrà più esserci la «povera» sanità del Sud

 
lino patruno

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La battaglia di questi giorni non dovrebbe essere un dramma per nessuno. Meno che mai dovrebbe esserlo per il solo «sfortunato» Sud

Venerdì 13 Marzo 2020, 14:59

Metti che ci svegliassimo domani e fossimo già al 4 aprile, se non si andasse oltre. Metti che fossero finiti questi giorni che non capiamo come se fosse una maledizione sconosciuta venuta da chissà dove. Metti che il Muro della Paura sia caduto. Quando potremo tornare a parlarci, ritrovarci al bar, andare al cinema, frequentare la scuola, uscire fra le luci e le voci della città, vedere una partita di calcio, non scansarci l’uno con l’altro. Ritornare liberi. E però non dovremo fare come se nulla fosse stato, magari un romanzo apocalittico o un film della catastrofe. Non dovremo farci ritrovare sorpresi da un infame ma non imbattibile nemico.

Non dovrebbe di nuovo succedere che un anziano pugliese abbia in genere meno possibilità di guarire di un anziano emiliano solo perché lì di anziani ce ne sarebbero di più e la loro sanità è finanziata di più. Insomma nella partita della vita contano solo i numeri e così un anziano ricco emiliano vale più di un anziano povero pugliese. Molti dei quali ormai non si curano più perché non ne hanno i mezzi. Anzi facciamola finita: anche per questo al Sud si vive quattro anni meno che al Nord.
Non dovremmo più sentire parlare di «viaggi della speranza». Parlare di malati del Sud che vanno al Nord perché lì hanno più mezzi benché al Sud ci siano medici, che dire? bravissimi. Ma lì hanno più risonanze, più Tac, più reparti, più posti letto. E li hanno non perché siano tutti Ronaldo ma per grazia ricevuta da uno Stato che da loro spende di più. E più si fanno da loro questi viaggi della speranza, più loro hanno di più e il Sud di meno. Perché sono anche i malati del Sud a finanziarli e a creare le condizioni perché altri li seguano. Ad accentuare il divario.

Non dovremmo più sentire parlare di terapie intensive insufficienti come se avesse dovuto arrivare un Corona a farci graziosamente scoprire che la popolazione italiana invecchia. E che i vecchi possono avere più bisogno di rianimazioni dei giovani. Scoprire così all’improvviso che fra qualche decennio il numero di chi avrà più di 65 anni sarà superiore a quello di chi avrà 18 anni perché non si fanno più figli. E se al Sud non si fanno perché il Sud non se lo può permettere, al Nord non si fanno perché preferiscono godersi la vita con viaggi e divertimenti e i figli sono un impedimento, beati loro benestanti ma poco benpensanti.

Dopo che l’Italia avrà sorpreso il mondo, non dovremmo più sentire parlare di giovani dottorandi e di medici in pensione assunti in blocco negli ospedali solo dopo una emergenza e dopo che in Puglia, per esempio, per vent’anni si è impedito di sostituire chi lasciava. Non dovremmo più sentire parlare di numero chiuso alle università e di studenti costretti ad andarsene in Albania. Numero chiuso perché non ci sono neanche le aule per fare lezione. Ovviamente soprattutto al Sud dove anche le università sono finanziate meno perché si finanziano quelle più ricche nella speranza che ne rimangano quattro o cinque super al Centro Nord e le altre si arrangino. Così come si arrangiano certe scuole del Sud che si fanno portare la carta igienica da casa.

Metti che ci svegliassimo domani e fossimo già al 4 aprile, se non si andasse oltre. Non dovremmo più sentire parlare di Regioni del Nord che vogliono più poteri quando proprio il caos fra lo Stato e queste Regioni ha rallentato la lotta al virus. Si dovrebbe sentire parlare una volta per tutte di calcolare i bisogni del Sud in modo che a questi bisogni corrisponda una spesa dello Stato finora iniqua. La battaglia di questi giorni non dovrebbe essere un dramma per nessuno. Meno che mai dovrebbe esserlo per il solo «sfortunato» Sud.

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